S.F.I.D.A. Home                                                            INCONTRO DIBATTITO "ASSISTENZA SESSUALE ALLE PERSONE DISABILI GRAVI"

Verbale redatto in forma stenotipica

 

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S F I D A

Sindacato Famiglie Italiane Diverse Abilità

Segreteria provinciale (Lecce)

 

Via Gallipoli n. 34 – 73048 Nardò (LE)


Tel. 0833.571733- Cell. 347.1372.963 - E-mail: sfidalecce@gmail.com


Sito provinciale:
www.sfidalecce.com

 

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Galatina (LE) – Quartiere Fieristico

 26 GENNAIO 2008

INCONTRO DIBATTITO

“ASSISTENZA SESSUALE ALLE PERSONE DISABILI GRAVI”

Con i patrocini di: Regione Puglia, Provincia di Lecce, Comune di Galatina

 

Verbale redatto in forma stenotipica

 

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Coordinatore del dibattito:

 

Dr. Stefano Mensurati

Giornalista Radio Rai Uno

INIZIO DIBATTITO - clicca qui

 

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Saluto dell’Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Galatina

Dr.ssa Maria Rosaria Romano

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Sono intervenuti:

 

 

Prof. Stefano Federici

Docente di Psicologia Generale

all’Università di Perugia

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Sintesi della relazione scritta - clicca qui

 

Dr. Lorenzo Fumagalli

Assistente sessuale

(In collegamento telefonico da Zurigo - Svizzera)

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  clicca qui per leggere la seconda parte del suo intervento

 

Avv. Francesco Risi

Foro di Lecce

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Dr. Pietro Manni

Consigliere Regionale – Reg. Puglia

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Vito Berti

Segretario provinciale SFIDA  (LE)

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On. Ugo Lisi

Camera dei Deputati

Membro della XII Commissione – Affari Sociali

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Dr. Francesco Farì

A.S.L. LECCE

Direttore del Servizio Centrale di Riabilitazione

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Ing. Andrea Ricciardi

Segretario nazionale SFIDA

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    LE FOTO DELL'EVENTO

ORE 18:47 - INIZIO DIBATTITO

Coordinatore del dibattito - Dr. Stefano MENSURATI

Buonasera a tutti voi e benvenuti a questo importante convegno. Perché è importante? Credo innanzitutto che bisogna prendere atto di una questione: si tratta forse della prima volta che in Italia si affronta a viso aperto, in maniera diretta, una tematica così difficile e così complessa come quella della assistenza sessuale ai disabili, tenendo conto che da noi non si riesce a parlare neanche del semplice rapporto tra sessualità e disabilità. Già questo comincia a diventare un problema per molti. Nel mondo della disabilità se ne discute già da tempo. All’attenzione invece della opinione pubblica l’argomento è arrivato lo scorso anno in corrispondenza della pubblicazione sul Corriere della Sera di un articolo a firma del collega Ivo Caizzi, che nel giugno scorso aveva visitato un paesino che si trova in Olanda, nei pressi di Utret, un paesino dove dal 1982 - quindi stiamo parlando di 25 anni fa, quindi non è certamente una esperienza nuova - ci sono 12 assistenti sessuali donne e 5 assistenti sessuali uomini che svolgono questo tipo di professione, se la vogliamo chiamare così. Vedo che troveremo difficoltà, immagino, anche a definirla. Il confine tra questo tipo di assistenza e la prostituzione è molto labile, anche su questo bisognerà fare molta chiarezza. Dicevo che svolgono questa attività non soltanto all’interno del territorio olandese, ma anche nelle cittadine oltre confine, Utret si trova vicino al confine belga ed al confine tedesco, e quindi anche in Belgio ed in Germania. Vi do alcune cifre sulla attività di questa associazione: 2 mila e 500 interventi l’anno, per metà rivolti a disabili psichici, per metà rivolti a disabili fisici. In questo caso non c’è assolutamente un equilibrio. Per il 95% sono prestazioni richieste da disabili di sesso maschile e soltanto il 5% da disabili di sesso femminile. L’incontro dura un’ora e mezza, costa 85 euro e la cifra è stata volutamente tenuta alta, anzi in questi ultimi tempi è stata addirittura elevata, proprio per evitare il rischio di un coinvolgimento di tipo sentimentale - e poi vedremo meglio di che cosa si tratta - ed anche per scoraggiare una frequenza eccessiva di questo tipo di interventi. A partire da questo articolo che ha fatto molto discutere e dal quale poi sono emerse le situazioni negli altri paesi in cui si affronta questa tematica, in particolare in Danimarca, in Svizzera – e tra breve ci collegheremo telefonicamente con uno di questi assistenti sessuali che operano nel Canton Ticino, quindi di madrelingua italiana, e sentiremo direttamente dalla sua voce come funziona – ecco, a partire da questa esperienza il sito disabili.com che è il portale di riferimento della disabilità in Italia, ha lanciato un sondaggio. Di questo sondaggio tra breve vi darò qualche elemento più preciso. Comunque, per adesso vi anticipo che il 77%  degli intervistati ha manifestato un’accettazione e quindi un’approvazione per questo tipo di prestazione. Accanto però a quello della tempestività c’è un secondo motivo di orgoglio per l’amico Vito Berti che è qui accanto a me e che con tanto impegno ha organizzato questa tavola rotonda, questo convegno, e questo secondo motivo di orgoglio è  quello di essere  riuscito a mettere in piedi un parterre  a parte qualche defezione dell’ultima ora, adesso non voglio polemizzare, faremo polemizzare direttamente lui. Comunque, è un parterre di tutto rispetto che ci consentirà di affrontare questo tema da diverse angolazioni, come merita. Dico subito che io su questo argomento non mi sono fatto ancora una opinione del tutto chiara; in linea di principio sono favorevole, forse per una mia forma mentis, però approfondendo il tema mi sono trovato di fronte a tutta una serie di interrogativi e di perplessità ai quali non sono riuscito a dare una risposta concreta.

Il tema è molto spinoso da qualunque parte lo si guardi. Pensiamo all’aspetto psicologico naturalmente che è il più importante, ma possiamo anche riferirci all’aspetto etico, all’aspetto religioso, economico, sociale, giuridico. Credo però che ci sia un vizio di fondo in questo tipo di ragionamento, e cioè che quasi si intende incominciare a costruire la casa del tetto. Mi spiego meglio: una richiesta di questo tipo, l’assistenza sessuale ai disabili gravi, poggia su basi deboli perché prima ancora di questo tipo di assistenza, quello di cui hanno bisogno i disabili è di un altro tipo di riconoscimento, secondo me fondamentale, ancora più importante, ma molto più importante, cioè il loro diritto alla sessualità. Questo è un diritto che ancora in Italia non viene riconosciuto e non viene riconosciuta una cosa molto elementare, cioè che la persona disabile prova esattamente le stesse pulsioni di chiunque altro e quindi ha gli stessi diritti a dare e ricevere amore secondo le modalità e le possibilità di cui è capace. Ecco che questa consapevolezza in Italia non sia maturata lo si va ripetendo periodicamente in tutti i convegni. Ricordo uno degli ultimi nel giugno scorso che era intitolato “Sessualità e disabilità verso un riconoscimento della sessualità”, quindi si parla della necessità di questo riconoscimento che evidentemente non c’è, un convegno al quale ha partecipato il professore Federici che tra breve prenderà la parola, organizzato dall’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. Dico questo non per sottrarmi naturalmente all’argomento di questa sera, ma perché credo che l’obiettivo dell’assistenza ai disabili gravi non possa essere disgiunto da uno sforzo davvero importante a tutti i livelli per il riconoscimento pieno della sessualità dei disabili.

Comunque, sentiremo prima l’amico svizzero perché magari deve andare via. Allora, a questo punto credo che un ringraziamento particolare - non è il luogo dei ringraziamenti questo perché è il luogo dei ragionamenti - debba essere rivolto al Comune di Galatina che ha avuto il coraggio, nella persona del Sindaco, ma anche nella persona dell’Assessore Maria Rosaria Romano che è l’Assessore alle Politiche Sociali e che è qui presente con noi, di aderire a questa iniziativa, di promuoverla; insomma, è un argomento davvero ostico e ce ne rendiamo tutti quanti conto, e quindi onore al merito. Vorrei sentire Maria Rosaria Romano e sentire un po’ che cosa ne pensa di questa problematica. 

INIZIO PAGINA

 Ass. Maria Rosaria ROMANO – Buonasera a tutti. A me il compito di porgere il saluto da parte dell’Amministrazione, oltre che personale, a tutti i convenuti ed a tutti i relatori autorevolissimi. Un ringraziamento particolare va a “SFIDA” nella persona di Vito Berti, per averci offerto l’opportunità, con le sue provocazioni continue, di riflettere su temi e vissuti della disabilità che il più delle volte vengono considerati marginali. Quello di questa sera è un argomento particolarmente delicato in quanto riguarda un aspetto della vita di un essere umano di cui spesso è difficile anche solo parlare perché legato a tabù, a maggiore ragione se si riferisce ai disabili che spesso vengono considerati asessuati; la sessualità come parte integrante di ciascun individuo. Nell’handicap purtroppo non è un dato acquisito e per questo si parla di sessualità negata. Personalmente più che di sessualità preferirei parlare di affettività nel disabile quale realtà complessa in cui coesistono spinte biologiche, dinamiche, emotive, valori personali, istanze culturali. Una condizione in cui si intersecano il piacere di comunicare rispetto alle proprie sensazioni, con il piacere di ricevere sensazioni dagli altri, con i gesti, con la voce, con lo stare insieme, con il corpo, le modalità di relazione, gli eccessi e gli scrupoli connessi a questa realtà. Esiste una tendenza diffusa per cui la sessualità è associata alla bellezza, all’avvenenza, all’affermazione sociale, mentre è tendenzialmente negata a chi non  risponde  a questi  requisiti. Per comprendere e affrontare in maniera adeguata la problematica bisogna innanzitutto fare una distinzione, secondo me, tra disabilità fisica, in cui ci troviamo di fronte ad  un’ incapacità di fare, e disabilità psichica, in cui abbiamo a che fare con  un’incapacità nella responsabilità di fare. In generale, alle persone disabili non viene garantita una giusta informazione di educazione alla sessualità e per le donne disabili il quadro è ancora più complesso. Infatti, nell’immaginario collettivo si ritiene che la donna possa prescindere dall’appagamento sessuale, mentre all’uomo è maggiormente riconosciuta la possibilità dell’istinto  e delle pulsioni sessuali. Pur tuttavia bisogna stare attenti a non utilizzare anche inconsapevolmente la sessualità come una sorta di cura illusoria per tamponare problematiche diverse e solo in parte connesse con questa tematica. Penso ad esempio alla aggressività ed al senso di impotenza e inutilità della stessa persona disabile. La sessualità è un comportamento appreso e come tale va insegnato, pertanto ci dovrebbe essere una educazione alla sessualità che possa coinvolgere tutta la rete che si relaziona con il disabile, a partire dalla famiglia e la scuola. Bisogna trasmettere che ci sono tempi e modi per vivere la sessualità, ma principalmente non trascurare il silenzio, l’imbarazzo e l’invisibilità che spesso la diversità evoca. Il disabile deve essere aiutato e stimolato nella conquista delle proprie potenzialità nel campo affettivo, sessuale, interpersonale, sociale e creativo per facilitare l’accettazione della propria diversità. Ciascuno deve lottare per farsi riconoscere nelle proprie diversità e rinunciare al pensiero magico di poter modificare ciò che purtroppo modificabile non è. Accettare il proprio corpo con le sue limitazioni, con le sue incongruenze, con le sue facili deperibilità, acquisire adeguate modalità di vivere e agire la sessualità. Pertanto ci auguriamo che questo incontro possa gettare le basi per l’avvio di un percorso in cui chiunque viva una condizione di disagio possa essere supportato per affrontarlo e superarlo nella maniera più adeguata. Grazie. 

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Stefano MENSURATIRingrazio Maria Rosaria Romano, Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Galatina. Prima di dare spazio alla relazione del professor Federici, che poi sarà un po’ il fulcro intorno al quale ruoteranno poi anche gli altri interventi. Vi do, come promesso, qualche rapido elemento sul  sondaggio di disabili.com, un sito visitatissimo; pensate, 650 mila contatti al mese, 120 mila navigatori, insomma, un sito di tutto rispetto. Ho detto prima che il 77% dei disabili è favorevole all’assistenza sessuale, di questi il 44% prenderebbe personalmente in considerazione questa proposta, il 26% accetterebbe, però con la presenza di professionisti, quindi vengono poste delle condizioni; il 7% non ne farebbe uso, ma non ci vede nulla di male, e tra i contrari c’è un 5% che motiva che è proprio no all’iniziativa perché sarebbe come legalizzare la prostituzione. Per quanto riguarda il proprio rapporto con la sfera sessuale il 27% degli intervistati dichiara di non fare sesso ed il 12% ricorre alla masturbazione. Sul grado di appagamento il 20% lo ritiene estremamente limitato a causa della propria disabilità e solo un rimanente 24% ritiene il proprio rapporto  con la sessualità soddisfacente. A questo punto lascerei volentieri la parola al professore Stefano Federici, professore associato di Psicologia Generale e Psicologia della Disabilità all’Università di Perugia e docente anche di Psicotecnologie dell’Adattamento e dell’Integrazione di Psicopedagogia della Disabilità alla Facoltà di Psicologia della Sapienza di Roma. Il professor Federici, tra l’altro, studia da diversi anni queste tematiche ed è autore  anche di alcuni importanti pubblicazioni sull’argomento. 

INIZIO PAGINA

Prof. Stefano FEDERICI -  Avevo preparato delle diapositive (clicca qui per visualizzarle) anche per mostrarvi alcune immagini di alcuni disabili mentali che hanno frequentato un corso di educazione sessuale e che avevano espresso poi quello che loro avevano compreso della propria corporeità e della sessualità, è molto interessante, ma mi spiace che non ve le possa mostrare. Vi posso lasciare le slide, si può fare una pubblicazione o potete anche andare a consultare il mio libro dove sono riportate. Grazie per essere stato invitato. Quindi, vado un po’ a braccio, anche perché anche io un po’ di disabilità ce l’ho, ne ho tante. Una di quelle che adesso mi rende un po’ impacciato è il fatto che mi sono scritto un po’ troppo piccolo, confidando nelle slide che avrei dovuto vedere anch’io; ho un po’ troppo piccolo il testo che dovrei leggere, quindi si va un po’ a braccio e datemi i tempi di quando devo concludere. Io vorrei affrontare tre questioni, mi sembra, abbastanza semplici, ma che secondo me e secondo la mia esperienza, sono basilari. Innanzitutto, che cosa intendiamo per disabilità? Quando noi parliamo dei disabili, chi sono i disabili? Io sono disabile? La signora, l’Assessore qui accanto a me è disabile? Vito è disabile? Un anziano è disabile? Da quando si è anziani e disabili? Quando dobbiamo parlare di assistenza sessuale ai disabili, una cosa deve essere chiara: che sia per disabili, perché se non è per disabili sarà altro. E allora, il primo problema è: quando parliamo di disabilità c’è un consenso su questo? Studio la disabilità da circa 15–16 anni e mi rendo conto che non c’è questo consenso unanime, che esistono diversi modelli di disabilità, che come ci insegnava già Goffman, un famoso sociologo che negli anni ‘60 fece storia nel suo famoso testo Stigma, dove diceva che l’identità sociale è un qualcosa che ci viene trasmesso dalla società e ciascuno automaticamente porta una sua identità, che noi sappiamo riconoscere; non abbiamo problemi quando siamo per strada o quando siamo nella quotidianità, quando non ci facciamo problemi riflessi, non abbiamo problemi a sapere se io sono disabile o Vito è disabile. È una falsa domanda questa. Perché? Perché nella complessità della nostra vita quotidiana, il nostro cervello che per quanto capace e ricco sia, in realtà anche lui ha problemi, come il nostro computer oggi, di dover mettere insieme una serie di informazioni che è assolutamente abbondante, infinita. Il nostro cervello non funziona nel mettere in modo sequenziale tutte le informazioni, ma cerca di risolvere i problemi con delle euristiche, cioè con delle chiavi di soluzione di probabilità. Io vedo una persona con una certa capigliatura, bionda, un petto che sembra un seno, penso che è una donna. Se è un transessuale ho bisogno di altre informazioni, lì per lì non posso saperlo. Come dire, il mio cervello non lavora prendendo tutti i particolari mettendoli insieme e traendo conclusioni, ma andando a ricercare nel suo file di memoria quegli schemi che sono probabilisticamente quelli che rispondono meglio al problema a cui sto andando incontro. Per esempio, chi è questa persona? Chi è il disabile? Pertanto ci sono due modi per potere rispondere alla mia domanda, se io sono disabile o Vito è disabile. Ci sono due modi: uno riflesso, uno in questa conferenza. Ed allora, sappiamo bene che la disabilità è un continuum e non esiste nessuno al mondo che sia totalmente abile, così come non esiste nessuno al mondo che sia completamente disabile e che questo è vero non solo in questo preciso istante, ma è vero anche nella diversità dei contesti. Per cui sì - permettimi, Vito - io mi sento molto più abile di te in questo momento e in questo contesto, non fosse altro che mi è più facile salire su questa pedana di quanto non sia a te e di reggere in mano questo microfono se ti è messo troppo lontano dal punto in cui stai parlando. Ma se mi trovassi in una foreste vergine in questo preciso istante, in Amazzonia, queste mie super abilità sarebbero sufficienti alla mia sopravvivenza? Dunque, l’abilità non solo nell’arco della nostra vita o in condizioni fisiche differenti muta e nessuno ha le stesse abilità nello stesso arco di vita, ma cambia nel cambiare dei contesti. D’altra parte, noi non ci facciamo tutti questi problemi, c’è una modalità che non è quella riflessa e che è quella automatica, in cui scatta un modello - come diremmo noi tecnici della psicologia, un freim - uno schema, in cui quando vedo una persona la dico disabile e quando ne vedo un’altra la dico normale, e lo sentiamo anche emotivamente che spesso, quando vedo un disabile, provo un disagio che non incontro quando incontro un non disabile. Qui che modello di disabilità c’è dietro? Generalmente, ce ne sono due: un modello è quello medico che è quello più diffuso; il modello medico è quello che ritiene che la disabilità sia una conseguenza diretta di una menomazione di una malattia o di una menomazione che ha determinato una deficienza nel funzionamento fisico di una persona. Secondo questo modello di disabilità è un modello medico che riduce dunque tutta la disabilità a un fatto puramente corporeo, individuale della persona; se la persona non funziona è a causa della sua malattia, se una persona è disabile è a causa del suo ritardo mentale, se una persona è disabile è perché quella ha le braccia più piccole, ha le gambe che non funzionano. Rispetto a questo modello di disabilità, cioè un modello medico, come viene vista la sessualità? Non esiste! Perché non esiste da un punto di vista del modello medico che generalmente, secondo anche i miei ultimi studi che ho fatto sui modelli di disabilità, anche con sistemi di rilevamento inconscio, inconsapevole, generalmente questo medico è quello che il nostro cervello ha incamerato fin da bambini ed è quello più facile, che sa individuare tra me e te, appunto, se è una donna o non è una donna, se sei un maschio o non sei un maschio, se sei un disabile o non sei un disabile; è soprattutto un modello medico quello che funziona. Ebbene, rispetto a questo modello la sessualità e disabilità non sorge come un problema perché per il medico un problema sussiste soltanto in due casi: o quando c’è da riparare qualche cosa, c’è da guarire qualche cosa, o non esiste quando non c’è da guarire o da riparare qualcosa. Perché la sessualità in genere per un modello medico non esiste? Non esiste perché in genere la sessualità dal punto di vista medico non esiste come problema per un disabile; un disabile non ha un mal funzionamento dal punto di vista fisiologico della sua genitalità; è rarissimo che ci siano se non delle specifiche, tipiche menomazioni che impediscono un corretto funzionamento della genitalità e dell’aspetto fisiologico del funzionamento sessuale della persona, per esempio i mielolesi. Ma in questo caso, e soltanto in questo caso, anche in questa circostanza i medici non possono fare nulla; per un mieloleso, per una persona che ha una paresi dovuta alla lesione della spina dorsale che impedisce non solo la sensibilità nelle parti genitali, parti erogene genitali l’erezione del pene o l’erezione del clitoride o la percezione del contatto fisico, lì il medico non può fare niente, non c’è niente da fare. Quindi, o non fa niente perché se è un down l’erezione del pene è perfetta, non c’è niente da guarire oppure se è un mieloleso non può fare niente perché non riesce a mettere su quello che ormai definitivamente rimarrà giù. Ecco che la disabilità, secondo un modello medico, perde dell’interesse dal punto di vista sessuale. D’altra parte, sappiamo che questo non è vero nella vita, nell’esistenza. Ecco che parlare di assistenza sessuale a me suona un po’ come un recupero della sessualità ancora da una prospettiva un po’ troppo del modello medico. Come dire? È come un’assistenza professionale in qualche modo da riparare qualche cosa che non va, siccome non va la ripariamo, con la riabilitazione, con l’intervento medico, con l’assistenza sessuale; è come se si continuasse, secondo una prospettiva del modello medico, a riparare qualche cosa che non funziona: assistenza sessuale. Poi c’è un altro modello che si oppone a quello del modello medico di disabilità e che è quello del modello sociale. Prima però una cosa ve la voglio leggere. Una persona che critica, per esempio,  il modello medico di disabilità e riporta come è stata informata la cultura… Ci sono anche altri modelli, c’è il modello religioso, l’aveva citato anche l’Assessore precedentemente, la visione angelicata della donna e della donna disabile. C’è questa famosa studiosa inglese, la Treymain, la quale scrive un testo molto provocatorio: “Push in the limits, disable dates producer culture (forzare i limiti di lesbiche disabili che producono cultura)”. E scrive questo interessantissimo sillogismo: “Tra gli scrittori attivisti anti-ablest, loro non si ritengono disabili, nemmeno abili, ma anti-abili, anti-normali”. Lei è una disabile anche piuttosto grave. Tra gli scrittori attivisti anti-ablest, cioè il loro gruppo di disabili anti-abili, c’è una opinione comune: che le persone non disabili generalmente considerano le persone disabili come esseri asessuati. Sebbene questa falsità degradi tutte le persone disabili, tuttavia essa ha uno speciale effetto umiliante sulle lesbiche disabili. Ascoltate questo simpatico sillogismo quanto mai  drammatico, la ragione che provoca questo è la seguente: “Se si assume che le persone disabili sono asessuate, allora non si può concepire l’esistenza di lesbiche disabili, cioè se le persone disabili sono considerate come esseri asessuati e se le identità lesbiche sono identità sessuate, allora le identità lesbiche disabili sono concettualmente impossibili, non esistono”. Apparentemente la categoria di persona disabile e la categoria di lesbica sono reciprocamente escludenti. Qualcuno potrebbe dire: “Che c’entravano le lesbiche?”. Sì, che c’entravano le lesbiche? Un altro modello è quello del modello sociale. Il modello sociale se vedesse una riunione come questa si strapperebbe le vesti e direbbe: “Qui assistenza ai disabili? Ma quale assistenza ai disabili? Noi non siamo disabili a causa della nostra malattia. Tutti avete delle malattie! Chi di voi non si rivolge a un medico? Chi di voi non fa delle cure? Chi qua dentro non si è mai sentito male? E per questo è un disabile? Chi nell’arco della sua vita non si rivolge costantemente a dei medici? Eppure per questo è disabile?”. No, disabili sono coloro che sono impediti ad una piena partecipazione della vita sociale a causa della loro condizione. È la società che li genera disabili, non il loro corpo. Come diceva Oliver, un estremista del modello sociale: “La disabilità non ha nulla a che fare con il nostro corpo”. Siamo davvero agli antipodi del modello medico, dove la disabilità è solo corpo, è tutto corpo, è tutta malattia, non c’è altro. Io come medico non posso fare altro che guardare e guarire il tuo corpo; la tua anima, i fatti sociali, la tua affettività, sono fatti che non rientrano nel rapporto medico. Il modello sociale dimentica completamente il corpo della persona, non c’è più, c’è soltanto l’identità sociale. La mia disabilità non ha niente a che fare con il mio corpo, la mia disabilità è un costrutto sociale, abbassate le barriere, diminuite le barriere che creano delle classi minorate e di minoranza, e noi non saremo più disabili. Come vivrebbero la disabilità queste persone? Come vedrebbero la sessualità queste persone? Non credo che sarebbero molto d’accordo nel ritenere la necessità di dover fare una assistenza sessuale per disabili, delle sexual surrogasy, perché questo rientrerebbe in un modello che continua una visione ghettizzante della disabilità, ma farebbero caso mai politiche di pari opportunità. Così come tutti gli eterosessuali normali hanno accesso alla prostituzione, così deve essere possibile ad ogni persona disabile avere accesso alla prostituzione. Ecco, allora, alcuni modelli che sono quello australiano, quello danese, quello neozelandese, che hanno portato avanti delle politiche in cui alle persone disabili viene dato un ticket per andare con le prostitute. Io mi fermo qui perchè la mia idea non era quella di dare delle risposte, almeno non in questo momento, poi la mia opinione personale – se mi verrà chiesta - la posso anche dare, ma per dirvi che la complessità innanzitutto è non solo e semplicemente quella di dire: “Quale  soluzione troviamo?”, ma a chi la troviamo, per chi la stiamo rivolgendo? Quando diciamo “disabile” a chi ci rivolgiamo e quando diciamo “sessualità” a che cosa ci stiamo riferendo?  Grazie.

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Stefano MENSURATI – Grazie, professor Federici. Mi sono venute in mente alcune domande, le rivolgo rapidamente in attesa di avere il collegamento con la Svizzera. Si diceva spesso che il disabile è considerato un eterno bambino e quindi come se fosse sostanzialmente indifferente agli stimoli sessuali, cosa che non è. Questo quantomeno viene percepito abitualmente dalle persone che lo circondano. Io a questo proposito vorrei leggervi un altro brano tratto da un libro; ve lo leggo  fra un momento, prima  le rivolgo questa domanda: “Questa sessualità che, in realtà, è adulta ma non viene percepita dai genitori o comunque dai familiari o dalle persone che sono attorno al disabile, però non c’è anche il rischio contrario, cioè di supporre che venga vissuta in maniera perfettamente cosciente una sessualità in un disabile psichico grave che ha delle pulsioni, ma non ha una coscienza della propria sessualità e che quindi la si voglia assecondare per forza riconducendola a modelli che sono estranei, diciamo, che non ricomprendono la persona disabile grave?”.

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Prof. Stefano FEDERICI – Certo, ci saranno livelli diversi in cui va riconosciuto e va soddisfatto questo bisogno e questo diritto all’esercizio della sessualità di ogni essere umano. Tutti siamo disposti a riconoscere alla persona disabile il diritto alla sessualità,  il problema è come farglielo esercitare. Per esempio, la Chiesa cattolica, fa molto chic sempre dover citare Giovanni Paolo secondo, soprattutto con le polemiche che ci sono con noi docenti, ebbene che io lo citi, ma lo critico pure però. Lui dice che c’è un diritto nel 2004, disse che dobbiamo dare il diritto alla vita sessuale e affettiva alle persone disabili. Sì,  ma come? Perché quando poi l’unica possibilità per esercitare la sessualità è all’interno del rapporto coniugale santificato dal sacramento matrimoniale,  sono davvero molto pochi i disabili che potranno avere la possibilità di potere esercitare la propria attività sessuale e soprattutto non quelli con ritardo mentale. E quindi, niente masturbazione? Niente petting? Niente fornicazione? Questo è riconoscere davvero il diritto? Anche se il livello di pienezza della sessualità, di maturità affettiva può essere inferiore, vuol dire che non ci deve essere niente? 

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Stefano MENSURATI - Ecco, vi  volevo leggere, appunto - proprio per capire ancora meglio il  punto di vista di chi vive questa situazione davvero frustrante - alcune righe da un libro, “L’Handicap dentro e oltre”, un libro piuttosto vecchio, è dell’83, edito da Feltrinelli, l’autore si chiama Mauro Cameroni, è un giornalista disabile. Egli è un giornalista che in quegli anni condusse molte battaglie con i Radicali e scrive: “Fino a che non parliamo di sesso, non manifestiamo questa naturalissima pulsione, siamo considerati degli Angeli, e l’argomento non viene sfiorato mai perché il sesso è patrimonio esclusivo dei normali, possibilmente superdotati. Ci condizionano a tal punto che ci vergognamo persino di manifestare i nostri istinti naturali, i nostri sentimenti, i nostri affetti. Quando poi rompiamo con queste vergogne e facciamo le nostre legittime richieste di vivere in pieno la nostra vita, allora l’atteggiamento degli altri cambia di colpo; da figure angeliche siamo trasformati in figure perverse, pensano a cose scandalose e che non dovrebbero far parte del nostro mondo, del ruolo che ci è stato assegnato dai normali”.

Ecco, per capire meglio come funziona questo servizio di assistenza sessuale ai disabili, gli amici di “SFIDA” hanno contattato uno di questi assistenti, Lorenzo Fumagalli, uno svizzero di lingua italiana che abbiamo in collegamento telefonico e che saluto: “Buonasera, dottor Fumagalli”.

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Dr. Lorenzo FUMAGALLI – Buonasera.

 

Stefano MENSURATI – Dottor Fumagalli, lei dove vive e che attività svolge nella sua vita quotidiana di tutti i giorni?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Io vivo a Zurigo, in Svizzera, e svolgo l’attività insieme a mia moglie, ho uno studio di medicina alternativa, mia moglie è omeopata e io sono massaggiatore e terapista doorn, una tecnica che si è molto diffusa in Germania e che forse in Italia non si conosce.  E’ una tecnica che verte a imporre le vertebre e le articolazioni in linea generale.

 

Stefano MENSURATI – Lei come si è avvicinato a questa seconda attività?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Mi sono avvicinato, ho letto un articolo su un giornale anni fa, un articolo che cercava degli assistenti sessuali per iniziare una formazione, una formazione che fino ad allora non è mai esistita in tutto il mondo. E’ una formazione che si è organizzata facendo tesoro dell’esperienza della signora Nina Devrisc. In questo modo mi sono avvicinato e sono passato attraverso tutti gli stage ed ho conseguito…

 

Stefano MENSURATI – Che tipo di preparazione ha ricevuto?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Una preparazione di tipo pratico, psicologico, diciamo che abbiamo svolto questi corsi preparandoci a questa attività soprattutto dal lato emotivo, dal lato psicologico, con possibilità di accesso nel mondo pratico, però questo accesso era abbastanza teorico visto che non c’erano delle persone disabili pronte a offrirsi durante il corso.

 

Stefano MENSURATI – Sua moglie che cosa ne pensa?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Mia moglie mi sostiene perché in ogni modo non avrei mai iniziato questa attività se mia moglie non mi avesse sostenuto. Addirittura, quel giorno che io ho letto quell’articolo sul giornale lo aveva letto anche lei, non nella stessa sede, lei era in treno, io ero in casa. Quella sera ci siamo trovati e mi diceva: “Guarda, ho letto questo, ho pensato che tu saresti la persona idonea per fare questo”. Questo conferma il fatto che mia moglie è al corrente e non ha assolutamente niente in contrario. Lei dice che lei non potrebbe farlo, ma vede in me una persona idonea a farlo.

 

Stefano MENSURATI – Gli altri suoi familiari, i suoi amici sono al corrente di questa sua attività?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Io a 46 anni non penso che debba chiedere e informare tutti i miei familiari ed i miei parenti se voglio svolgere un’attività, sono una persona adulta, matura, ho due figli adulti, taluni che ho ritenuto opportuno informare ho informato, altri no. Così faccio per tante altre attività. 

 

Stefano MENSURATI – Senta, in che cosa consiste la prestazione, quanto costa e quanto dura?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Allora, la prestazione consiste nell’assistere la sessualità di una persona disabile che può essere disabile in senso mentale o disabilità in senso fisico. Dura come minimo un’ora e costa 150 franchi. Faccia lei il calcolo in euro.

 

Stefano MENSURATI – Intorno ai 100 euro.

 

Lorenzo FUMAGALLIComunque, questa domanda è molto tecnica.

 

Stefano MENSURATI – Non volevo che entrasse nel dettaglio, insomma, solo per farci capire fino a che punto arriva questa assistenza.

 

Lorenzo FUMAGALLI – Il tempo da noi non viene centellinato al minuto, diamo molto spazio anche alla consultazione con gli educatori, con i genitori, c’è tutto un approccio anche di questo tipo. La prestazione in genere dura da 40 minuti ad un’ora, però poi c’è tutto un clima dopo che va anche preso in considerazione, comunque non tassato, ecco.

 

Stefano MENSURATISenta, si tratta di un’attività in qualche modo riconosciuta dalla legge in Svizzera o no?

 

Lorenzo FUMAGALLI – In effetti, sì, siamo anche sostenuti dalla Confederazione che dà una sovvenzione, non molto grande ma comunque la dà, per cui la legge svizzera non vieta assolutamente questo tipo di attività, altrimenti non mi permetterei neanche di svolgerla.

 

Stefano MENSURATI
– Secondo lei, sarebbe giusto che questo tipo di assistenza venisse in qualche modo coperta dall’assistenza sociale, cioè venisse in qualche modo rimborsata dalla mutua?

 

Lorenzo FUMAGALLI – No, assolutamente no, perché la sessualità non è una malattia, non si può far passare o far pagare la Cassa, da noi si chiama la Cassa Malati, sarebbe sbagliato.

 

Stefano MENSURATIIntendo dire, se la potessimo comparare a una forma di fisioterapia?

 

Lorenzo FUMAGALLI – No, neanche lì io sarei tanto d’accordo perché non è una terapia, il diritto alla sessualità può essere terapeutico, come però può esserlo anche per non disabili, però una sessualità vissuta in modo dignitoso e sereno è una buona terapia per tutti. Fin qui siamo tutti concordi, però da lì a fare passare tutto come una terapia è come un po’ un voler nascondersi dietro un qualcosa che  è sbagliato. Si può senz’altro fare delle terapie per migliorare, però in questo caso non vedo il senso di farlo passare come una terapia.

 

Stefano MENSURATI – Lei ha clienti fissi? Torna a trovare spesso le stesse persone?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Sì, la mia clientela è solo fissa, è molto raro incontrare persone che richiedono questa  prestazione una volta sola. Anche perché io lavoro soprattutto con donne; le donne ci mettono molto di più degli uomini a prendere in considerazione questo servizio, c’è tutto un processo molto lento, molto profondo che fa sì che una volta che si decidono a contattare me ed i miei colleghi l’hanno fatto con cognizione di causa; per cui normalmente riprendono il discorso poi a scadenze più o meno regolari.

 

Stefano MENSURATISenta, lei parlava di sessualità e non di terapia. Allora, in questo quadro perché non è previsto il rapporto sessuale completo?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Questa è una decisione che spetta soltanto a noi assistenti sessuali. Nel primo corso abbiamo deciso proprio come primo approccio a non comprendere il rapporto completo, però abbiamo anche notato che è un manco se si vuole, perché naturalmente ci sono tanti disabili che richiedono il rapporto completo per soddisfare le loro richieste. Nel secondo corso che si sta svolgendo adesso a Basilea ci sono dei partecipanti che sono predisposti a compiere un rapporto completo. Ogni assistente sessuale può mettere i limiti che vuole.

 

Stefano MENSURATI – Senta, ma lei nel momento in cui offre una prestazione sessuale in cambio di soldi, come fa a spiegare a se stesso o magari agli altri quando parla con qualcuno che non si tratta di prostituzione? Qual è la differenza, non trattandosi di una terapia, come ha tenuto a sottolineare, ma soltanto di un’assistenza alla sessualità?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Sapendo che lavoro c’è alla base, voglio dire prima dell’assistenza in sé, molto spesso mi incontro  con gli educatori, con i genitori, come dicevo prima; molto spesso c’è un colloquio dopo, c’è tutto un approccio che la prostituzione normalmente non può offrire e non offre perché lì ogni minuto è centellinato. Non voglio assolutamente dubitare che ci sia nel mondo della prostituzione delle donne o degli uomini che offrono questa prestazione a persone disabili molto dignitose, molto degne della loro situazione. Possiamo immaginarci che talvolta uno ci mette mezz’ora, per cui questo è un discorso per il quale io non mi reputo di essere immerso nella categoria.

 

Stefano MENSURATI – Di offrire una prestazione di tipo…?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Io non mi faccio questo problema, al limite se lo fanno gli altri. 

 

Stefano MENSURATI – Lei diceva, appunto, che siccome in realtà non offrite una prestazione sessuale, un rapporto sessuale completo, ma della tenerezza, le chiedevo se non c’è un po’ un rischio che quelle tenerezze costruiscano attorno al disabile un mondo del tutto irreale, finiscano per falsare la realtà, creando un legame affettivo fortissimo dal quale è difficile poi staccarsi. Cioè, non è mai successo che una disabile si sia innamorata di lei visto che questo tipo di tenerezze abitualmente nella sua vita non le riceve?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Questo è un discorso molto importante. È vero, questo succede. Un punto forte della nostra formazione verteva proprio sul fatto del comunicare e questa è una parte che va comunicata in modo molto chiaro ed eventualmente bisogna riprendere il discorso per fare sì che la persona che ci richiede non si illuda che noi possiamo andare oltre, oltre il rapporto. E’ vero, ma è una situazione che capita tutti i giorni in tutti gli uffici, non è una situazione anomala il fatto che qualcuno si possa innamorare di un altro.

 

Stefano MENSURATI – Sì, però la differenza è che il disabile si trova in una posizione di debolezza, sa che quello è un rapporto in qualche modo anche pagato, perché chiaramente non riesce ad usufruire di queste attenzioni nella sua vita privata normale e quindi ci può essere un travisamento. Io volevo girare questa domanda al professor Federici. Vorrei chiederle, appunto, se può diventare una bolla di sapone che scoppia come dopo quando si è andati con una prostituta; chiaramente, il rapporto può essere in sé appagante, però poi ci si sente più soli di prima. 

 

Prof.  Stefano FEDERICI - Il rischio c’è, il rischio credo che sia un rischio reale. Quello di cui dobbiamo stare attenti è che noi indubbiamente ci portiamo dietro una cultura occidentale cattolica romana e che noi quando diciamo “illusione” immaginiamo che la realtà sia quella coniugale familiare, ma non è l’unica possibilità. E quindi, è quello che dicevo precedentemente, che quando parliamo di riconoscimento del diritto e di appagamento del diritto, probabilmente ci possono essere gradi diversi di appagamento e che non c’è soltanto un appagamento totale, maturo e completo o castità. Certo, ci rendiamo conto che in alcune situazioni ci sta una carenza di pienezza, carenza di ricchezza, ma non per questo ci deve essere assenza.

 

Stefano MENSURATI – Vito, se vuoi rivolgere tu una domanda al dottor Fumagalli, prego

 

Segretari provinciale SFIDA - Vito BERTI - Volevo chiedere al dottor Fumagalli: in Italia ha mai ricevuto delle richieste di prestazioni qui in Italia?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Sì, io ho lavorato anche in Italia, certo; sono molto attivo anche in Francia, soprattutto a livello di conferenze e congressi.

 

Vito BERTI – Quindi, lei ha avuto dei disabili italiani che l’hanno invitata al loro domicilio per effettuare questo tipo di prestazioni?

 

Lorenzo FUMAGALLI – Esatto, esatto.

 

Vito BERTI – Grazie. 

 

Stefano MENSURATI – Io ringrazio davvero il dottor Lorenzo Fumagalli per questa importante testimonianza che ci ha fatto capire tante cose, ma credo una delle cose più importanti che un argomento di questo tipo oggettivamente è ostico da trattare e possa essere invece affrontato anche con grande serenità. Grazie, dottor Fumagalli anche per la franchezza con la quale ha risposto alle nostre domande e buona serata.

 

Lorenzo FUMAGALLI – Grazie a voi ed arrivederci.

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Stefano MENSURATI – Prima di passare al ragionamento operativo su cosa si può fare, è un ragionamento che affronteremo naturalmente con gli ospiti politici ed i rappresentanti degli enti locali, io vorrei sentire il parere dell’Avvocato Francesco Risi del Foro di Lecce perché credo che sia importante delineare in maniera chiara il quadro giuridico nel quale siamo chiamati a muoverci. Per farvi capire anche come ci sia una certa confusione in questo ambito, vi leggo la risposta data dalla signora Nina Devrisc, la sessuologa che poi ha istruito questi assistenti sessuali svizzeri, tra i quali Lorenzo Fumagalli che abbiamo sentito poco fa, la risposta alla domanda: se non si sente una prostituta. Lei ha detto: “Certo che se si considera prostituzione ogni prestazione sessuale a pagamento, allora anche la mia lo è. Ma se si pensa che la prostituzione sia sfruttamento delle persone per averne un guadagno economico, allora quello che faccio non ha nulla a che vedere con tutto ciò. Infatti – ha proseguito la signora - se riusciamo a sospendere il giudizio e ci fermiamo a riflettere vediamo in modo diverso il lavoro di chi, con cuore e rispetto, si dedica ad uno scambio di dolcezze e di cure”. Capite naturalmente che il confine con la prostituzione è molto labile ed è anche facile cadere in contraddizione perché la prostituta che non ha uno sfruttatore alle spalle, allora in questo caso non sarebbe una prostituta ed invece lo è perché vende il suo corpo in cambio di soldi. Noi, Avvocato Risi, mi sembra di capire che abbiamo  dei problemi aggiuntivi in Italia, perché viviamo in una specie di limbo per quanto riguarda la prostituzione; è proibito l’adescamento, naturalmente sono sanzionati i comportamenti osceni in luogo pubblico, è sanzionato lo sfruttamento della prostituzione, ma prostituirsi in sé – non si capisce bene - è reato o non è reato? 

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Avv. Francesco RISI - Buonasera a tutti. Quando 15 anni fa circa ho avuto il piacere di conoscere Vito Berti ho conosciuto sì una persona determinata, ma soprattutto una persona che va al cuore dei problemi. Anche gli spunti e le riflessioni di questa sera, il tema che ci viene proposto dal Sindacato Sfida di cui stiamo trattando sono il cuore del problema. Perché? Perché in Italia un po’ abbiamo il vezzo politico, sociale, culturale di nascondere i problemi, ecco perché il cuore del problema. Per rispondere alla domanda del moderatore, diciamo subito con grande chiarezza, spero, con semplicità, che la prostituzione non è un reato, la prostituzione non è lecita, la prostituzione è solo tollerata. Ecco, questo concetto, questo spirito questo approccio, questa tolleranza la dice lunga sul sentimento degli italiani, nella nostra cultura rispetto a questo fenomeno, anche perché poi di fatto i sondaggi e l’opinione pubblica ed anche l’opinione nel privato, divergono molto a seconda dei contesti e delle Assisi. Prostituirsi non è reato, è soltanto un atto non proprio meritevole o un atto che non viene visto di buon occhio. Perché? Perché si parte dal presupposto che la persona che si prostituisce fa mercimonio di quanto è più strettamente legato alla dignità ed alla libertà di una persona, nel senso che prostituirsi vuol dire anche non soltanto mettere davanti - nel senso etimologico del termine, perché la parola “prostituzione” deriva dal latino e significa “mettere davanti, collocare davanti” - rendere merce, offrire un qualcosa che la dignità, il decoro, l’amor proprio vorrebbe che non fosse mai messo in vendita, non fosse mai trattato come una merce. Quindi, dicevo, è una attività tollerata rispetto alla quale però la normativa vigente è datata ormai; tutti noi conosciamo la famosa Legge Merlin, è una legge voluta da una senatrice Socialista, una donna, voluta nonostante tante provocazioni e tante richieste di maggiore proibizionismo, tante richieste di maggiore intolleranza. Questa legge ha - devo dire - un merito tra tanti ed il merito principale è quello di non aver criminalizzato chi si prostituisce. Piuttosto invece si criminalizza ed è penalmente sanzionato tutto un contesto che fa di questa attività uno sfruttamento, un abuso e quindi è vietata ed è penalmente rilevante anche un semplice atteggiamento di tolleranza. In questo caso l’esperienza del dottor Fumagalli, per esempio, quella che abbiamo sentito, molto interessante, dal mio punto di vista - consentitemi un’opinione personale, un po’ contraddittoria, ma comunque molto interessante - espone gli aspetti più importanti di questa vicenda. Il dottor Fumagalli in Italia - lo ha dichiarato lui e di questo gli rendiamo merito - riceve delle richieste di prestazioni. In Italia una attività uno studio di prestazione sessuale remunerata non sarebbe possibile, non sarebbe lecito, perché? Perché abbiamo detto che l’attività in sé della prostituzione non è illecita, è tollerata, però comunque viene sanzionato il semplice tollerare, perché un luogo che in cui si svolga una attività sessuale remunerata viene chiamato tecnicamente con il termine di induzione alla prostituzione e questo è vietato. E’ vietato indurre alla prostituzione, cioè sapere che in una camera di albergo si svolga abitualmente attività sessuale remunerata è illecito penale. Diciamo che il livello di sanzione, il livello di protezione sociale è molto basso in questa materia. Addirittura, ove si consideri che semplicemente indurre qualcuno alla prostituzione senza aver per ciò uno scopo di lucro è vietato, anche se non  questo penalmente sanzionato, ma è un illecito amministrativo. Questo ci riporta al problema principale, cioè al ticket per le prestazioni sessuali degli assistenti sessuali alle persone gravemente disabili. Questo purtroppo in Italia al momento della legislazione vigente non è possibile. Occorre fare uno sforzo, occorre che la nostra classe politica finalmente assuma delle responsabilità sul punto, perché sappiate che la legislazione e la Legge Merlin cui facevamo riferimento è del 1958, cioè sono passati quasi 50 anni senza che la classe politica abbia affrontato nuovamente il problema, come se il problema non esistesse. In realtà, in questi 50 anni quasi ci sono state molte proposte di legge, addirittura c’è stato un disegno di legge, quindi approvato da un Governo. Ma non c’è stata mai la possibilità che l’Assemblea, il Parlamento discuta una proposta di legge. Questo perché? Non me ne voglia l’Onorevole Lisi, stavo giusto specificando che il collega Lisi è una persona che invece manifesta molta sensibilità e più volte lo vedo come relatore. Quindi, per tornare all’argomento principale: prostituirsi, mettere in vendita una attività sessuale remunerata è un comportamento che viene considerato e valutato come idoneo a ledere la dignità e la sensibilità della stessa persona che offre la prestazione sessuale. Quindi, un soggetto con handicap grave che volesse servirsi di una prestazione sessuale a pagamento dovrebbe farlo di nascosto, dovrebbe farlo non potendo utilizzare alcuna struttura pubblica, alcun ticket, alcuna protezione, alcun senso di normalità. 

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Stefano MENSURATI Avvocato, grazie per questo suo intervento, non so se vuole aggiungere rapidamente qualcos’altro prima di concludere.

 

Avv. Francesco RISI -  Sì, vorrei concludere con una piccola riflessione. Cioè, le proposte di legge sono tante, abbiamo detto, e la materia è complessa, però credo che la confusione sia determinata più dalla mancanza di chiarezza degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Mi spiego meglio: se qualcuno nelle Assisi importanti quali il Parlamento, altre Assisi Regionali e Comunali, cominciasse a parlare di questi problemi dal punto di vista della sessualità dei disabili gravi, potrebbe far sì che il problema si arricchisse di questo elemento, e cioè è possibile se non arrivare a una abrogazione della Legge Merlin, quantomeno rilevare delle zone di confine che possano giustificare - perché la coscienza collettiva questo forse  lo richiede - una attività sessuale, sia pure remunerata, in favore di un soggetto disabile grave, come una attività che non potrà mai avere il crisma della legalità, ma quantomeno non dovrebbe comportare la punizione della struttura e del soggetto che tollera una prestazione di questo tipo. Quindi, almeno su questo un piccolo passo bisogna farlo.

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Stefano MENSURATI - Grazie all’Avvocato. Io a questo punto ascolterei il parere di Vito Berti che oltre ad avere organizzato questo convegno, gli do veramente atto del grande impegno e anche del grande risultato perché - come dicevo all’inizio - questi temi abitualmente non vengono trattati, dobbiamo dire che l’incontro di questa sera rappresenti una eccezione  qui in Italia. Ecco, volevo sentire proprio dalla sua voce come viene vissuta questa problematica nel mondo della disabilità.

 

Segretario prov. SFIDA - Vito BERTI – Innanzitutto, vorrei ringraziare doverosamente – consentimelo, Stefano - i nostri collaboratori, nella persona di Corrado De Paolis che è, tra l’altro, anche il collaboratore e responsabile del nostro Sindacato presso il Comune di Galatina, e vorrei ringraziare tutti quanti, tutti quelli che nella nostra organizzazione si sono impegnati per la buona riuscita di questa iniziativa. Vedo da lontano il nostro Franco Tamborino che è anche il nostro Segretario Amministrativo che si è dato tanto da fare per questa iniziativa come sempre. Ringrazio il Comune di Galatina con il quale - è importante ricordarlo a tutti - abbiamo sottoscritto un protocollo di intesa per l’apertura di uno sportello a favore di tutte le famiglie e di tutti i disabili,  uno sportello informativo a cui tutte le famiglie possono rivolgersi per avere informazioni e formazione anche. Questo è molto importante. Sembra un qualcosa di sentito, un film già visto,  i famosi protocolli di intesa. In questo caso posso assicurarvi che è fondamentale per tante famiglie avere questo punto di riferimento e avere questa ulteriore occasione. In molti Comuni purtroppo è soltanto l’unico sportello, l’unica possibilità. Naturalmente, il Sindacato non si limita soltanto ad informare, ma intende sostenere i diritti delle famiglie e delle persone disabili, ma questo lasciamolo un attimo da parte. Per ciò che riguarda il discorso di questa sera, io ho ascoltato con molto interesse tutti gli interventi che sono stati fatti fino adesso perché ci aprono un pochettino la mente rispetto al problema che stiamo affrontando. Io non sono né un accademico né un giurista per cui non entrerò, non cercherò di analizzare la questione sotto l’aspetto né giuridico, né filosofico, né psicologico perché non mi compete. Io vorrei parlare di quella che è stata la mia situazione, naturalmente io parlo per ciò che riguarda la disabilità fisica,  posto che ancora quella psichica non mi è stata riscontrata da nessun medico! Ma per ciò che riguarda il problema fisico effettivamente una persona come me, quindi gravemente disabile sotto l’aspetto fisico, si è trovata ad affrontare quando appunto era ragazzo. Nel caso mio, per esempio, per una serie di motivi ho avuto la fortuna di avere intorno a me delle persone, degli amici che mi hanno voluto bene, mi hanno aiutato, perché magari io mi interfaccio molto più facilmente rispetto a altre persone con disabilità fisica e nello stesso tempo psichica, ho la possibilità di relazionarmi molto più facilmente. Quindi, questo mi ha dato diciamo un qualcosa… ho avuto la fortuna di avere questo appoggio da parte degli altri. Nonostante questo però potrei ricordare tanti episodi della mia vita che magari ho rimosso perché si rimuovono, io  tendo a rimuovere le cose negative, che sono stati oggettivamente traumatici. Cioè, quando si arriva ad un percorso della propria vita, a un certo punto quando si arriva all’età fatidica di 15, 16, 17 anni, dove appunto la cosa principale a cui si pensa è l’altro sesso, la ragazza e tutto quanto, trovarsi in una condizione di impossibilità, non soltanto di avere un rapporto normale, completo, ma proprio di avere anche il ben che minimo approccio, quindi parliamo della carezza, del contatto, del toccarsi: non è possibile! Cioè, ci si trova nella assoluta – come posso dire? – solitudine. Quindi, il toccarsi, sentire la mano sul proprio petto o toccare non è possibile. Io vorrei che su queste cose si riflettesse questa sera. Cioè, qui siamo di fronte in Italia alla negazione, tutti dicono che i disabili hanno diritto alla loro sessualità, ma nella realtà nessuno fa nulla per consentire loro di riesercitare questo diritto. Quindi, trovarsi in una condizione di questo genere e non poterla neppure esprimere per pudore, perché ci si vergogna di quello che si è,  cioè non soltanto si soffre per il fatto di non poter avere nessuno con cui approcciare, ma si soffre anche nell’ammetterlo ai propri familiari, cioè il pudore di dire alla propria madre, al proprio padre: “Io voglio - come diceva quella famosa scena di Fellini - voglio una donna”. Non so se l’avete mai vista, il matto che saliva sull’albero, non so se ricordate,  Amarcord, famosissimo. Tutti hanno sorriso su quella scena, ma quella è  una scena di una drammaticità assoluta: “Voglio una donna”. Nel caso di una donna: “Voglio un uomo”. Su queste cose dobbiamo interrogarci e dobbiamo farlo in maniera assolutamente  serena, senza forzature che non servirebbero a niente, tra l’altro, ma serenamente porci il problema. Io non vorrei usare un termine troppo forte perché un medico potrebbe alzarsi e prendermi a schiaffi, ma la realtà è questa: in molti casi i disabili vengono castrati dal punto di vista chimico, sono castrazioni chimiche vere e proprie, cioè si cerca di sedarli attraverso l’introduzione di farmaci. Quindi, io credo che questa sia una tortura, siamo nel medioevo sotto un certo aspetto; non si può affrontare il problema, ovviamente in molti casi purtroppo non c’è molto da fare perché parliamo anche di casi estremi, prima abbiamo detto del disabile psichico di un certo grado, di una certa natura, ma in ogni caso ci sono tanti disabili che potrebbero avere opportunità di sfogare i loro bisogni, che tra l’altro sono fisiologici, ce li abbiamo tutti, e non lo possono fare per la normativa e quindi non potendolo fare vengono sedati dai farmaci prescritti dai medici, medici che non devono però essere colpevolizzati altrimenti faremmo poi un altro errore.  Il medico naturalmente cerca di svolgere il suo ruolo come può ed è giusto che lo faccia, ma questa è la situazione e rispetto a questa situazione che noi abbiamo immaginato, questo congresso per lanciare soprattutto al mondo politico che deve parlare di queste cose, deve dibattere di queste cose, siamo stanchi di sentire che il mondo politico dibatte di lana caprina, di cose che non ci interessano, di cose che interessano poco la gente. Noi dobbiamo parlare dei problemi delle persone e quindi invitiamo ancora una volta il mondo politico che non vogliamo criminalizzare nel modo più assoluto, ma con il quale vogliamo dialogare, noi non siamo un Sindacato che dice di no, che dice i “no” famosi dei vecchi Sindacati dell’epoca che noi conosciamo, noi siamo un sindacato che intende dialogare ma su fatti concreti, questo lo vogliamo fare. Siamo anche noi di ispirazione cristiana, ma pensiamo che il Cristianesimo e i valori devono essere vissuti nella loro pienezza e non con delle limitazioni alla libertà delle persone; anche perché i cittadini naturalmente. come tutti sanno, possono essere di varia natura dal punto di vista del credo religioso, e quindi noi ci dobbiamo rivolgere al cittadino in quanto tale, quindi non dobbiamo guardare se è cattolico o protestante etc. etc., dobbiamo guardare al cittadino e basta e tutti i cittadini hanno il diritto di crescere nella loro completezza. Io mi scuso per essermi dilungato.  Ringrazio tutti.

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Stefano MENSURATI - Facciamo un grosso applauso a Vito Berti, Segretario Provinciale di SFIDA di Lecce. Il suo impegno è ammirevole ed anche questo suo interessamento per la categoria, complimenti. 

 

Vito BERTI - Volevo ringraziarti personalmente davanti a tutti, ringraziare l’Onorevole Lisi perché ogni volta è stato sempre disponibile e per l’ennesima volta ha promesso ed è venuto e questo è peritoso; vorrei anche sotto un certo aspetto sottolineare la mancanza della Regione Puglia. La volta scorsa - dobbiamo dare atto al Presidente Vendola che è persona sensibile - partecipò ad un nostro dibattito, si parlava di assistenza domiciliare alle persone disabili. In quel caso, appunto, il Presidente Vendola partecipò e noi di questo lo ringraziamo. In questa occasione non ha potuto partecipare per problemi familiari e lo comprendiamo quando si tratta di queste cose, comprendiamo perfettamente. Ci duole sottolineare però l’assenza della Regione Puglia che è un silenzio assordante.

 

Stefano MENSURATI - Si sarebbe potuto mandare qualcuno in suo sostituzione.

 

Vito BERTI - Noi lavoriamo a questo incontro-dibattito da tre mesi, tre mesi di intenso lavoro, io credo che la Regione abbia il dovere in questi casi, perlomeno di regalarci la sua presenza, in qualsiasi forma; scusate, ma questa cosa è importante, per un atto di giustizia nei confronti di tutti quelli che hanno collaborato e quindi non soltanto io, ma tutti gli altri. Grazie mille. 

 

Stefano MENSURATI - A questo punto avrei fatto una panoramica, appunto, politica con il Parlamento, la Regione, la Provincia, solo che abbiamo soltanto il Parlamento che non è poco, per carità, ma visto che la Regione viene amministrata… C’è il Consigliere Regionale Manni, un Consigliere Regionale. È importante la presenza della Regione perché le Regioni hanno potere ormai quasi esclusivo in materia di Sanità e quindi da questo punto di vista magari un contribuito è importante anche  riceverlo da questo ente. 

Ing. Andrea RICCIARDI - Scusate, giusto per una questione di chiarezza. Il Presidente Vendola non è potuto venire, lo doveva sostituire l’Assessore Elena Gentile, che mi ha telefonato durante il viaggio perché era rimasta bloccata a Roma, all’aeroporto, giusto per una questione di correttezza. Vendola aveva delegato l’Assessore Elena Gentile, Assessore Regionale alle Politiche Sociali che a sua volta aveva dato la sua disponibilità, però per problemi di volo è rimasta bloccata a Roma, giusto per chiarezza .

 

Stefano MENSURATI Va bene. Sentiamo che cosa si può fare a livello nazionale, diciamo, a livello parlamentare per affrontare questo tipo di problematica e lo sentiamo dalla voce dell’Onorevole Ugo lisi, membro della Commissione Affari Sociali della Camera, che è qui non soltanto nella sua veste ufficiale ma anche perché - come diceva Vito Berti - è anche una persona molto sensibile alle problematiche della disabilità e si è sempre impegnato a fondo in questa direzione, quindi può parlarne con cognizione di causa. Prego, Onorevole  Lisi.

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On. Ugo LISI – Grazie, buonasera a tutti quanti voi. Naturalmente, un saluto particolare agli ospiti, come  il professore Federici, come lo stesso moderatore e come anche il Presidente o Segretario Nazionale del Sindacato Famiglie Italiane Diverse Abilità. Ringrazio naturalmente, non sono di rito, ma sono sentiti i ringraziamenti per Vito Berti, che permette a me di accrescere il mio now-how, le mie esperienze nel mondo dei diversamente abili, e quindi è una guida sicura per chi vuole fare qualcosa e spesse volte non riesce non per propria incapacità. Non sono un tuttologo, non sono un mostro di bravura, ma proprio perché spesse volte manca il confronto, perché non è la serata in esame. Non sto facendo alcuna polemica, per diversi altri aspetti, altri convegni, caro Vito, tutte le volte che mi avete invitato - tranne quella in cui c’era Nichi - le altre volte io ho trovato il deserto, cioè uno spicchio del panorama lei ha potuto vedere. Questa è una costante che inizia un po’ a preoccuparmi perché non si può poi colpevolizzare chi è presente o la parte politica che è sempre presente o la persona che  risponde  rispetto ad altri, ma non è il caso di questa sera, è una preoccupazione che si inquadra in un progetto della Sfida, che è quello di fare delle sfide mensili, trimestrali, dei convegni, come quello vicino alla stazione di Galatina. Noi abbiamo cercato di dare delle risposte, ad esempio, sulle possibilità per i diversamente abili di sostenere l’esame per la patente di guida. Può sembrare anche quella una sciocchezza, ma quando una Motorizzazione non ha uno strumento, un mezzo, il genitore non è che può spendere 50 mila euro direttamente, non sapendo se un figlio si può prendere la patente, se riesce a prenderla o meno.  Noi stiamo cercando di ovviare in altre forme. Poi lo dirai tu magari che cosa stiamo facendo - una raccolta fondi - senza gli enti, senza le istituzioni, senza la politica. Lo stiamo facendo con il cuore, per fatti nostri. Ed allora, ognuno si assuma la proprie responsabilità. Grazie, Piero, che sei qua, perché dai manforte a chi vuole lavorare, al di là degli steccati ideologici. Cari amici, io voglio  iniziare dalla fine, scusate se io sono così, ma io lo faccio con passione e quando mi sono trovato solo nella finanziaria 2007, chi ha fatto l’unico ordine del giorno o documento sulle non-autosufficienze, dicevo all’Assessore, sono stato io insieme a un’altra collega, degli altri non si è permesso nessuno di parlare e di prendere la parola per vedere se finalmente mettiamo mano alla legge sulle non-autosufficiente d’Italia. E’ da anni che l’aspettiamo: Catia Zanotti, io, siamo pochissime persone. Questa è la realtà, le altre sono chiacchiere, almeno per quanto mi riguarda. Non penso che la SFIDA voglia riempirsi o i familiari…  Ed allora, voglio iniziare proprio da una intervista che io ho estratto, perché grazie a Vito io mi sono erudito, quindi ho acquisito un bagaglio  per questa sera. Sono venuto sicuramente, non dico preparatissimo, ma almeno so di che cosa sto parlando. Voglio iniziare con un’intervista a Marcell   Nius, francese, che organizza insieme alla Devries, che è stata chiamata più volte in causa anche dall’assistente dottor Lorenzo Fumagalli ed anche dal professore prima, perché in Francia lui rappresenta una associazione così chiamata di diverse abilità, Coordinamento Handicap  e Autonomia, e vuole vedere se in Franca può andare questo sistema dell’assistenza sessuale cosiddetta. E fa una domanda il giornalista  a questa persona: “Quali erano le vostre aspettative, quando lei ha fatto un convegno al Parlamento, all’Unione Europea a Strasburgo?”. Perché è stato fatto proprio un convegno uguale a quello di questa sera qui da noi, è stato fatto a Strasburgo, quindi Olanda, Svizzera, dove già c’è questo tipo di sistema; la Francia che si affaccia, l’Italia, noi ne stiamo parlando stasera, quindi - volendo - potremmo essere pure noi i primi a fare questo tipo di ragionamento. “Abbiamo chiesto ed ottenuto - risponde il francese Marcell Nius - di farlo a Strasburgo per una ragione molto simbolica: volevamo infatti organizzare una riflessione sul tema dell’assistenza sessuale a livello Europeo”.  Dove lo dovevano fare? All’Unione Europea, a Strasburgo. “Perché ci sembrava essenziale ispirarci alle esperienze dei paesi vicini e anche per poterlo adattare per la cultura francese successivamente. La sessualità è soprattutto una questione culturale”. Allora, quando lei giustamente mi dice: “Ma la politica che fa?”, io dico: “Che cosa fa la società prima della politica?”. Perchè io posso fare il disegno di legge, l’ho fatto anche per le non-autosufficienze, l’ho fatto per l’osservatorio Nazionale  della Terza Età, me l’hanno calendarizzato, ma non l’abbiamo discusso. Se in questo territorio facciamo i comunicati stampa per questa serata e su sei televisioni non ne viene una, perché si parla di problemi seri e non c’è da azzuffarsi tra politici, perché non stiamo litigando fra me e Vendola o fra me e Piero Manni, o Francesco Farì, che saluto, stiamo parlando di fatti veri che accadono: la voglia di sessualità, la voglia di esprimersi delle persone diversamente abili. Le televisioni non ci stanno perché manca questa cultura, caro Francesco. Quando escono sui giornali locali cinque pagine per due giorni che la ragazza che 36 anni fa cantava “Volevo il gatto nero” che vinse lo Zecchino d’Oro, si è messo su un solarium con prestazioni sessuali e non parliamo dei diversamente abili bloccati sul marciapiede perché mettono la macchina parcheggiata sullo scivolo, vuol dire che questa cultura di questo paese - e non parlo male di Galatina o del Salento perché sono galatinese e salentino – sta indietro, noi stiamo indietro dal punto di vista culturale. Ci possono essere sette Piero Manni, cinque Nichi Vendola, dieci Ugo Lisi, cento Vito  Berti. Io mi auguro che ci siano tutte queste persone. Però, forse noi non riusciremo mai, se non entriamo nella forma mentis, di mettere sul piatto questo tipo di convegni, di discussione e solleticare i salotti bene, le persone, i Radical Chic, i professori con le pipe, tutti a dire la loro; perché se la dico solamente io, a Vito gli faccio un favore perché dice: “Grazie Ugo, grazie Piero”, dirà grazie a Francesco. Al mondo politico voi direte “grazie”, di voi della   SFIDA. Però, siamo sempre pochi anche noi, come site pochi voi, quindi è una questione culturale, di approccio culturale ed anche una cosa diversa. 

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Stefano MENSURATI – Tra l’altro, se posso permettermi, noi avevamo cercato di far parlare di questo convegno a Uno Mattina, quindi lui mi aveva detto che aveva avuto qualche approccio; praticamente Uno Mattina con lui ha tergiversato, ed allora ho detto: “Ci penso io, stanno qui nella palazzina accanto alla mia, accanto a quella della radio, li vado a trovare e ci parlo”.  Quando poi, naturalmente, ho introdotto l’argomento, mi hanno guardato come un marziano: “Che parliamo di queste cose? Questo è un programma per le famiglie” mi hanno detto. Dico: “Perché le famiglie dei disabili non sono famiglie? I disabili non sono figli di genitori e quindi non ci sono famiglie interessate a queste problematiche?”. Mi hanno guardato come per dire: “Ma questo che vuole, che cosa è venuto a fare qui?”. Quindi, ho dovuto chiamarli e dire che non c’era niente da fare. Ho telefonato alla RAI di Bari, a questo punto dico: “Beh, dalla RAI di Bari verranno!”. Anche lì mi hanno detto: “Ma sai, è un po’ problematico perchè il sabato sera non ci sono truppe, poi c’è gente che sta fuori, permessi, così via”. Insomma, anche da lì sono ritornato a mani vuote. 

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On. Ugo LISI - Io non è che sono dispiaciuto perchè la mia battaglia, se Vito la continua, e sappiamo i sacrifici che fa perché le sue condizioni le conosciamo, figurarsi se non la devo continuare io che vengo pagato dallo Stato, eletto dai cittadini per fare quello che devo fare, quindi a maggior ragione io non mollo, ma bisogna vedere quanti siamo e dove andiamo, perché sappiamo dove andare. Qua non si tratta di sessualità a pagamento, qua non si tratta di prostituzione, qua si tratta di una multiculturalità ed anche una forma integrata di affetto, prestazione sessuale, ma c’è l’affetto, ci sono tantissime situazioni che penso il dottor Fumagalli non vi ha detto. Ma Fumagalli fa parte di un gruppo di 350 che hanno risposto a quell’annuncio su un giornale di Zurigo; l’input  era dalla Devries che faceva questo annuncio. Dei 350 ne hanno presi solo 45. Fumagalli non l’ha detto, ma lui fa parte di quei 45 che sono stati presi dalle 350 domande selezionate. Hanno fatto cinque anni di corso, dei test psico-attitudinali scritti e orali. Quindi, io non solo sono favorevole, magari anche la mia estrazione cattolica non è che cozza con l’aiuto ai diversamente abili, perché io posso essere moderato, cattolico, di Centro Destra, ma nulla quaestio rispetto a questa problematica. Perchè qua si va Borderline per quanto riguarda sicuramente i reati, come diceva il collega, c’era qualcuno che li chiamava “reati umanitari. Perché comunque ci sono delle persone che hanno voglia della sessualità, il 95% purtroppo sono uomini, dicevano in Olanda, nel progetto e 5% sono le donne che richiedono. E forse è la cultura di un popolo  che deve essere stimolata di più perché a fianco a queste prestazioni sessuali noi dovremmo intravedere anche dei luoghi di incontro per queste persone, cioè far conoscere i diversamente abili fra loro. Se è vero come è vero che l’85-86%, 89-90% sono nubili e poi il 77% sono celibi i diversamente abili, quindi almeno farli conoscere fra loro, quindi socializzazione; non è solo l’atto, la prestazione, la mera prestazione sessuale, dout des. Il corrispettivo in denaro viene fatto dalla Devries nei progetti e dagli altri perché serve come limite psicologico al soggetto che chiede la prestazione, in maniera tale da non incantarsi troppo perché sa che non si può forse innamorare, farsi una barriera all’affetto anche se al cuore non si comanda. Loro vogliono dire che ci sono delle regole e dei limiti prestabiliti, ecco perché chiedono quei 150 franchi, solo per questa situazione, per questo motivo. Non voglio dilungarmi, però c’è un cocktail che vede la sessualità e la prestazione da un lato, ma anche la affettività, cioè sono dei grandi affluenti li chiamano qui,  in questo studio che io ho portato e che sarà una bussola, una linea guida, un GPS, sicuramente insieme a SFIDA, lo stimolo del Segretario Nazionale di SFIDA e di tutti gli altri che vorranno darmi degli input, una PDL, una proposta di legge da fare e se ci sono in Parlamento le rispolveriamo tutte. Non so se ci sarà questa legislatura, non ha importanza, noi dobbiamo andare avanti in questo, ma ci deve essere parallelamente una consapevolezza da parte della società. Lo ripete anche il francese, la faccia sensazionale dell’oggetto in esame stasera comporta che i mass media sensibilizzino il grande pubblico, ma per vendere questa notizia, dice il francese, non per parlare del reale problema dei soggetti diversamente abili che vogliono esternare la loro voglia, la loro sessualità, il loro affetto, il loro amore. 

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Stefano MENSURATI – E’ un modo come un altro per fare sensazionalismo.

 

On. Ugo LISI – Esatto. Quindi, ritorniamo nell’alveo giusto che è quello di questo convegno: no al sesazionalismo, no alla notizia scoop, ma soprattutto sì alla sensibilizzazione di una società fredda, glaciale, la nostra locale, ma anche nazionale sotto questi aspetti. Ed allora, i passi in avanti non sono solamente Piero Manni dalla Regione o Lisi al Parlamento che fanno una proposta di legge o stimolano il Presidente della Regione o il Ministro della Salute, della Sanità o dir si voglia, se le accorperanno nel futuro Governo, poi si vedrà. Qui il problema è vedere quanti siamo, quanta società partecipa attivamente a questo percorso culturale, per dire “sì”, come hanno fatto in Olanda, come hanno fatto in Svizzera o in Danimarca, per riflettere come hanno fatto in Francia e come stiamo facendo noi questa sera. Vogliamo sapere quanti siamo e che scendano in campo tutti a dire la loro. Innanzitutto, Giovanni Paolo Secondo - il professore ha detto delle cose, io non condivido l’ultima parte - è intervenuto nell’anno mondiale, al convegno sulle disabilità mentali ed ha detto: “Invoco particolare attenzione per la cura delle dimensioni affettive e sessuali della persona handicappata. Una società – prosegue il Santo Padre - che desse spazio solo ai sani, ai perfettamente autonomi e funzionali non sarebbe una società degna dell’uomo”. Poi è chiaro che apre delle riflessioni giustamente il professore sulle famiglie vere, sulle famiglie di fatto, su queste situazioni. 

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Prof. Stefano FEDERICI – La devi finire la frase. La cito dal documento del Vaticano.

 

On. Ugo LISI – Non sto facendo polemica con lei. Io sono leggermente cattolico, quindi volevo che Giovanni Paolo Secondo fosse lasciato in santa pace, ma se vogliamo un aprire un varco anche su questo non ci sono problemi. La cosa principale che io voglio riportare non è una difesa, voglio dire che sono stato colpito dal fatto che questa azione sinergica è non solo sessualità, ma è un’azione che riguarda la cultura, il sociale e la sanità. Perché naturalmente questa persona che lei ha intervistato fa parte di un circuito che può essere chiamato dalle nostre A.S.L., comunque si rapporta con queste strutture sanitarie. Quindi, c’è del sociale, c’è del culturale, c’è del sanitario.

 

Stefano MENSURATI – Vive molto di donazioni private, per la verità.

 

On. Ugo LISI – Esatto, vive anche di donazioni private che dà maggiore libertà. Per concludere, ci vorrebbero dei consultori come ci sono in Francia, dei consultori di supporto, di consulenza per tutte le persone che ruotano intorno all’universo del diversamente abile. Quando uno la sente col cuore questa cosa è chiaro che la foga aumenta. Grazie.

 

Stefano MENSURATI Prego, professor Federici.

 

Prof. Stefano FEDERICI - Posso sollevare una questione? Indipendentemente dalle mie posizioni personali, ma davvero possiamo credere  che in una società italiana dove non è possibile fare una divulgazione di una prevenzione alle malattie sessualmente trasmissibili attraverso l’uso del profilattico, per la presenza della Chiesa cattolica nella nostra società e l’influenza della Chiesa cattolica nella nostra società, sarà possibile fare una legge che permetta l’assistenza sessuale? Lei, A.N., ritiene che come Deputato di A.N. sarà mai appoggiato da una politica del genere? Io credo che ci prendiamo in giro se pensiamo questo.

 

On. Ugo LISI - Lei innanzitutto non deve dire che io la prendo in giro perché io non prendo in giro nessuno, ho detto che io rispondo a titolo personale, l’ho messo forse nelle premesse.              

 

Prof. Stefano FEDERICI  - Legga la frase che dice  nel documento ufficiale della Chiesa nel messaggio del Papa del 2004: “Anche essa ha bisogno di amare e di essere amata,  ha bisogno di tenerezza, di vicinanza,  di intimità”, finisce la citazione del Papa e la Commissione per i Diritti Sociali continua: “Secondo la propria possibilità e nel rispetto dell’ordine morale, che è lo stesso per i sani e per coloro che portano un handicap”.

 

On. Ugo LISI - Non l’ha detto il Papa questo

 

Prof. Stefano FEDERICI  - Questo è il documento ufficiale. 

 

Stefano MENSURATI - Va bene l’osservazione, però io vorrei che non ci incartassimo. 

 

On. Ugo LISI - Il professore può anche dire che ho detto favole, il Signore è grande e vedrà se io mi sto impegnando o meno, poi il resto non mi interessa. Sono cattolico, quindi credo più a lui che agli altri.

 

Stefano MENSURATI - Vorrei chiedervi di non polemizzare perché è fuori luogo in questa situazione nella quale veramente stiamo elaborando un ragionamento davvero pacato ed interessante. 

 

On. Ugo LISI – E assolto chi manca, è imputato sempre chi c’è nei commenti.

 

Stefano MENSURATI - Non c’è il Presidente della Regione Nichi Vendola, non ci sono i sostituti che erano stati demandati a prendere il suo posto, però c’è  il Consigliere Regionale Piero Manni. Prego.

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Consigliere Regionale Piero MANNI – Io vorrei partire con la considerazione che secondo me, questa sera sta succedendo qualcosa di straordinario, almeno per quel che riguarda le mie conoscenze, le mie informazioni, questa sera mi sono trovato veramente di fronte ad un fatto straordinario. Già è tabù parlare del sesso, già nella scuola non riusciamo ad introdurre un minimo di educazione, parlare in questi termini realistici, veri, della sessualità dei diversamente abili, mi sembra un fatto veramente  straordinario ed importante. Allorché  ho  ricevuto l’informazione di questo incontro, di questo convegno ed ho deciso immediatamente di intervenire, intervenire per me significava starmene seduto lì, accanto a mia moglie ad ascoltare e ad imparare, ho sentito… ho un’amica a Milano, un’amica che si chiama Alda Merini, è una poetessa, è una signora che ha passato molti anni in manicomio ed ha scritto dei libri tremendi e bellissimi di poesia e di prosa su questa sua esperienza e ovviamente in questi libri c’è anche la parte della sua esperienza che riguarda la propria sessualità. Abbiamo chiacchierato e poi ho tirato fuori una vecchia intervista di sei o sette anni fa molto breve, rilasciata a Rete 4 da Alda Merini. Ve ne leggo un brano molto breve. Dice la Merini in risposta ad una domanda del suo intervistatore: “Ti dirò una cosa. Qui noi avevamo nella  casa un assassino vero e proprio, era stato in prigione e la sua compagna quando saliva le scale, data la pericolosità del soggetto diceva: -Stai attendo perché l’Alda Merini in fondo è buona-. Certo lui ne aveva ammazzati sette e ora mi sto domandando ancora che cosa potrei fare io, visto che dicono che sono pericolosa. Ti dirò a proposito del termine pericolosità che  a me interessa molto perché è un termine che viene usato per emarginare i diversi, è uno degli scontri verbali. Voglio dire che se tu gridi perché subisci un sorpasso la cosa è normale, se invece grida uno che è stato in manicomio lo ritengono pericoloso. In effetti, ti danno sempre come pericoloso, specialmente dal punto di vista sessuale. Tu potresti uccidere pensa un po’. Tanto è vero che una volta ho incontrato un paziente e vedendolo mortificato gli ho chiesto: -Ma lei fa l’amore qualche volta-? E lui mi ha risposto: -No, perché sono pericoloso-. La diversità rappresenta la pericolosità, il diversamente abile è diversamente abile, è diverso”. È questo che la società rifiuta, respinge, non può accettare. Ha perfettamente ragione il mio amico Ugo Lisi: è una questione culturale ed io mi sento a mio agio qui a parlare nella mia veste di Vicepresidente della Commissione Cultura della Regione, perché è una questione che va posta innanzitutto in termini culturali. Stiamo assistendo a un fatto straordinario questa sera, dicevo, secondo me, ed altrettanto scandaloso è stato rilevato. Come è possibile che un problema di tale rilevanza sociale e culturale venga totalmente ignorato? Certo non farà notizia, certo i diversamente abili non hanno quella massa di consenso che può interessare i politici, ma c’è soprattutto la paura del diverso, c’è la paura del nero, c’è la paura dello zingaro, c’è la paura della persona troppo alta, c’è la preoccupazione del diversamente abile. E’ su questo punto che io credo dobbiamo intervenire. La Regione si occupa della questione dei diversamente abili, ci sono delle leggi, dei provvedimenti, che sono stati assunti che puntano a risolvere alcuni problemi specifici, particolari; ad esempio, le deroghe in materia di edilizia  per consentire ai diversamente abili di adeguare la propria casa,  il proprio appartamento, la propria abitazione, sui propri bisogni, sono ammesse delle deroghe. So che c’è stata una legge che favoriva l’acquisizione gratuita di computer specifici per le diverse disabilità e questo va bene, questo è importante, ma assolutamente non basta, sono segmenti talmente piccoli che scompaiono nel problema. Bisogna che nelle rispettive competenze, come suggeriva Ugo, ci muoviamo. C’è bisogno di una legislazione diversa e qui la Regione ha competenze molto modeste e marginali, però ha competenze grosse nell’affrontare la questione, nel parlarne, nel promuovere la conoscenza di questi problemi, nel rimuovere gli ostacoli culturali che impediscono la soluzione di questi problemi. Io non ho nulla, lo ribadisco, non intendevo intervenire, intendevo stare qui ad imparare e ad ascoltare, come faccio spesso e come noi politici dovremmo fare più spesso, anziché venire e impiantarci sempre da questa parte della scrivania, stare un poco da  quell’altra ad  ascoltare i soggetti portatori di diritti,  legittimi interessi, di istanze, di bisogni. Perché soltanto se stiamo ad ascoltarli capiamo bene i problemi e possiamo intervenire in maniera corretta. Prendo un unico impegno, questo posso prenderlo: di continuare a sentirmi con Vito Berti e di continuare a sentirmi con l’associazione SFIDA e di studiare insieme in quale maniera io che devo  rappresentarli, che ho il dovere di rappresentarli, che sono pagato per rappresentarli, posso contribuire nella modestia delle mie forze e delle mie capacità ad aiutare verso la soluzione di queste questioni. 

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Stefano MENSURATI -  Grazie, Consigliere Regionale Manni

On. Ugo LISI - Io avevo sensibilizzato il Presidente Bertinotti, parlando con il Presidente avevo detto già a dicembre, durante la finanziaria, che avremmo fatto con Nichi Vendola questo convegno e lui condivideva la osservazione: meno porta a porta e più a porta a porta per  sentire  la gente. Scusate il giro di parole, ma il Presidente Bertinotti condivideva ed io dicevo però: voi siete leader, dovete andare voi, lei, Fini e tutti gli altri, noi dovremmo essere molti di più, molte formiche che vanno a lavorare e che ascoltano soprattutto il cittadino e le necessità del cittadino. Il  Presidente Bertinotti mi  ha detto: “Anche noi meno porta a porta e più lavoro”. Noi non solo abbiamo sensibilizzato con questa cosa  la conoscenza di questo convegno, ognuno fa la sua parte, però noi anche tornando a casa dobbiamo iniziare ad affrontare questa situazione. Ieri sera in un compleanno di un ragazzo che faceva quarant’anni, ho detto: “Domani c’è questo convegno”. “Di che cosa si tratta?”, “La sessualità nei diversamente abili, che cosa fare”. All’inizio poteva essere anche un sorriso ironico di qualcuno, alla fine tutta la tavola, venti persone  che discutevano con serietà, con riflessioni su questo argomento. Allora, facciamolo tutti quanti,  non ci deve essere per forza il politico o la persona preposta della A.S.L., o il medico, o il professore, penso che ogni cittadino lo possa fare a casa sua, anche come     termometro della situazione, del pensiero e della cultura di un popolo. Scusaste. 

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Stefano MENSURATI -  Parlavo prima  con il professore Federici, casualmente siamo nello stesso albergo e ragionavo su questo. Come vi dicevo, a Uno Mattina non hanno dato spazio a questo convegno, la RAI di Bari non si è interessata. Io ho la fortuna di condurre un programma pomeridiano tutti i giorni su Radio Uno, Radio City, dalle 15:30 alle 17:30, un programma all’interno del quale trattiamo diversi argomenti; non posso prendere l’impegno di riuscire nel mio intento perché non dipende soltanto da me, ma senz’altro cercherò di trattare questo argomento alla radio. Mezzo milione di persone in più che ci ascolta e che si fa un’ idea su questo tema  non sarebbe male. 

Segretario provinciale SFIDA - Vito BERTI - Ringrazio anche il professore Federici che senza alcun compenso anche lui è venuto amabilmente, è intervenuto in questo convegno. Veramente grazie. Meritano entrambi, sia il dottore Mensurati che il professore Federici un applauso da parte nostra. 

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Stefano MENSURATI - Gli ultimi due interventi, l’ingegnere Ricciardi che doveva scappare via e mi ha detto di cercare di concludere presto perché doveva partire, non so se può pazientare così può trarre proprio le conclusioni di questo nostro ragionamento. Facciamo intervenire prima il dottore Francesco Farì - tanto ormai abbiamo fatto tardi - che è il Direttore del Servizio Centrale di Riabilitazione della A.S.L.  di Lecce che ha avviato una importante iniziativa di assistenza sessuale, di tipo psicologico naturalmente, non stiamo parlando di assistenza sessuale come quella fornita da Fumagalli;  mi pare una iniziativa molto interessante, se rapidamente c’è la può riassumere.  Prego.

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Dott. Francesco FARI’ - Porgo un caloroso buonasera a tutti e un  ringraziamento sentito a Vito Berti e alla SFIDA, soprattutto un complimento perché è davvero straordinario questo tipo di convegno che rappresenta in una cultura dominante sonnecchiante un’autentica pietra di grosse dimensioni nello stagno della indifferenza, per cui questa tematica oscilla tra il tabù, l’ignavia ed un tiepido tentativo di presa di coscienza che ancora tarda a venire nonostante le sollecitazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ed anche dell’O.N.U..  La voglia di scivolare sul politico ci sarebbe, ma mi limito a rimanere nell’ambito strettamente tecnico, sono qui in rappresentanza anche della Direzione Aziendale della A.S.L. che per una questione di comunicazione istituzionale mi ha delegato a rappresentarla.  La presa di coscienza del problema, che è sostanzialmente quello che ancora oggi manca, è iniziata negli ‘80 con l’integrazione, con l’integrazione scolastica, del mondo del lavoro, del mondo del sociale e delle persone portatrici di handicap, ma evidentemente da un punto di vista delle barriere culturali non è ancora pienamente, neanche lontanamente realizzata. Ad onor del vero l’organizzazione Mondiale della Sanità, e qui provo un attimo  anche a dare una risposta dal punto di vista medico, a quanto detto prima al professor Federici, già nell’82 individuava un terzo modello di approccio con la sessualità dei disabili, a differenza degli unici  due che aveva giustamente portato come estremi, cioè quello sociale e quello medico, il terzo modello rappresenta una definizione di salute sessuale; cioè, l’Organizzazione Mondiale della Sanità diciamo che eleva al rango di funzione, quella sessuale, pari dignitaria rispetto ad altre funzioni, come quella psichica, cognitiva, come quella locomotoria, come quella respiratoria, è la sessualità genericamente intesa come integrazione di molti aspetti somatici, affettivi, intellettuali e relazionali, finalizzati ad una realizzazione della personalità del sé, quindi anche della comunicazione e dell’amore. Questa definizione la dice lunga sul fatto che il punto di vista medico, L’Organizzazione Mondiale della Sanità, non è solo ed esclusivamente di tipo corporeo, genitale, ma è molto più complesso. In quest’ambito la funzione della riabilitazione, intesa così come da linea guida dal  ’98, cioè progetto mirante a realizzare il massimo benessere psicofisico del disabile, con un complesso di interventi e quindi con un progetto di presa in carico globale del disabile, include – volendo - anche l’aspetto della sessualità. Quindi, la sessualità nella sua interezza, non solo come corporeità o genitorialità o genitalità, ma anche come... Da questo punto di vista c’è una terza soluzione intermedia rappresentata da una integrazione socio-sanitaria nell’ambito della sessualità che può rappresentare un piccolo punto di risposta. E voglio, a questo punto, arrivare a quella che è la nostra situazione locale, quello di cui si accennava. È merito non mio, ma del mio predecessore, il dottor Antonio Zamparelli, che ha diretto egregiamente l’Unità Operativa del Servizio Centrale di Riabilitazione della A.S.L. di avere introdotto già nel lontano 1996 o ‘97 credo, un primo germe di interesse sulla particolare attenzione alla sessualità della persona disabile. È stato un caso, un po’ per la sua sensibilità, un po’ perché nell’organico si è trovato un neuro-psicomotricista che aveva anche conseguito in Ginevra il diploma di consulente sessuologo e per cui si è iniziata nell’ambito dell’equipe multidisciplinare un’attività che cominciava a fare una ricognizione di alcuni bisogni, sia degli utenti, sia delle famiglie e sia anche degli operatori che sovente si trovavano ad affrontare problemi legati alla sessualità dei disabili senza essere adeguatamente anche preparati ad affrontarli. Dopo una ricognizione per tre anni, nel 2002 si partì con la istituzione, quindi con atto deliberativo dell’azienda, dello sportello di consulenza sessuologica alla persona disabile in Lecce, all’interno dell’attività distrettuale dei servizi riabilitativi, allargato a tutto l’ambito della ex LE/1. Dopo la fusione avvenuta lo scorso  anno c’è stato un atto deliberativo, io parlo di atti concreti così usciamo un po’ fuori dai grandi sistemi, dai grandi pronunciamenti, con un atto deliberativo del commissario straordinario della Lecce Unica Provinciale, è stato istituito questo servizio allargandolo  anche all’area Sud della Provincia, ex LE/2 che non era dotata di un servizio di questo tipo. Non solo, ma integrandolo anche con un progetto di allargamento, di coinvolgimento di molte associazioni, perché il servizio di counselling avviene anche con le associazioni che spesso sono il primo punto di riferimento ed è in atto un progetto di abbattimento delle barriere culturali che sono quelle più difficili da abbattere, per cominciare anche a formare gli operatori dell’ A.S.L. - i punti di primo intervento sono quasi sempre gli U.R.P. - per essere adatti e preparati ad accogliere questo tipo di istanze e che non sono la stessa cosa di una richiesta di una radiografia. Per cui presuppongono anche un’adeguata e specifica preparazione degli operatori disposti ad avere quella attenzione, quel garbo, quella sensibilità umana che molto spesso non c’è perché magari l’amore di lavoro è tanta  o comunque l’approccio è un po’ borbonico, e quindi ci stiamo premurando di andare incontro in questa situazione a garantire un primo livello di drenaggio delle domande per poi - con il secondo livello che già funziona in Lecce - cominciare a dare le prime risposte. C’è anche un coordinamento che viene svolto dallo sportello sessuologico della A.S.L., un coordinamento dei bisogni, riorientando poi  nello specifico verso le risposte che la A.S.L. può dare. Parliamo di risposte A.S.L., la A.S.L. fa L.E.A., Livelli Essenziali di Assistenza, non può andare oltre permission istituzionale. Quindi, le nostre  risposte si concretano attraverso l’approccio, le necessità fisiche, laddove è necessario il ginecologo, laddove può essere necessaria anche la pillola del giorno dopo, sino alla psicoterapia, sino agli approcci psicologici, sino alla consulenza alle famiglie o alle associazioni laddove è necessario qualche approccio anche di tipo pedagogico, perché molti interventi vengono effettuati anche nelle scuole, addirittura in classi, in gruppi. Questo è quel poco che noi abbiamo sin qui realizzato. Qui voglio aprire provocatoriamente una sfida, visto che in maniera molto bipartisan, sia l’amico Ugo Lisi, che pur essendo parlamentare ha comunque un ruolo mica da poco sugli equilibri politici leccesi ed anche regionali, e l’amico Piero Manni, lo dico provocatoriamente: se la Regione, di cui io sono un dipendente, volesse, anche a livello sperimentale, lanciare a mo’ di sfida, e qui ovviamente coinvolgeremmo anche semanticamente il Sindacato dell’organizzazzione, l’idea di dire: “-Proviamo ad elaborare un progetto che vada anche al di là di quello che noi abbiamo sinora garbatamente svolto, visto che da ambo le parti politiche sembra ravvedersi, almeno a parole, la opportunità di procedere, noi tecnicamente siamo pronti a prendere in considerazione questa idea, magari il partenariato con la SFIDA e tentare di dare una risposta-“. Ovviamente noi per la nostra parte strettamente sanitaria, ma l’ambito dei Comuni e il Comune di Lecce – rispetto al quale l’Onorevole Lisi ha sempre una grandissima influenza - potrebbero pensare ad un progetto. È una provocazione che faccio, aspettiamo poi concretamente eventuali risposte.

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Stefano MENSURATI - Un proposta molto interessante più che una provocazione, speriamo che naturalmente sia raccolta dalle parti interessate e che si possa arrivare a realizzare qualcosa di concreto, mi pare che il supporto che potrebbe fornire il sindacato naturalmente... 

 

Dott. Francesco FARI’ -  Io voglio concludere in una situazione di grande pessimismo. Quel poco o pochissimo che noi abbiamo fatto, comunque anche se poco è pur sempre una goccia nel mare dei grandi bisogni delle disabilità, delle grandi tematiche, delle grandi iniziative remote, questa nostra è una piccola goccia, ma mutuando una frase  di Madre Teresa: “Quel mare di problemi non sarebbe lo stesso senza quella piccola goccia”, per cui speriamo che si possa allargare, grazie.  

 

Stefano MENSURATI -  Grazie al dottor Francesco Farì. Ora lasciamo concludere l’ingegner Andrea  Ricciardi, Segretario Nazionale del Sindacato Famiglie Italiane Diverse Abilità. Siccome siete ancora in molti e vi vedo molto attenti, magari dopo l’intervento dell’ingegner Ricciardi, se c’è qualcuno che volesse rivolgerci una domanda offriamo questa possibilità, naturalmente in maniera molto sintetica. Prego, ingegnere. 

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Segretario nazionale SFIDA - Ing. Andrea RICCIARDI - Buonasera a tutti, grazie a Vito per l’invito e grazie a voi  tutti che avete pazienza proprio a restare qui fino a tardi. Io mi chiamo Andrea Ricciardi, sono il Segretario Nazionale del Sindacato Sfida e sono papà di un ragazzo disabile. Mio figlio quest’anno compie 16 anni. Giusto per precisare, SFIDA è un sindacato che nasce con l'aiuto della Diocesi di  San Severo, è un sindacato che si ispira ai valori cristiani ed il nostro Statuto riporta proprio questa caratteristica, al di là del fatto che poi io sono un cattolico praticante. La persona handicappata è un soggetto pienamente umano con tutti i diritti sacri e inalienabili propri di ogni creatura umana. Alla base di tutto  sta che la persona disabile è una persona, una persona come tutti quanti gli altri e quindi ha gli stessi problemi di tutte le persone, ha gli stessi desideri che hanno le persone. È stato fatto prima il discorso su chi è il disabile, chi non è il disabile. Un errore che si fa è quello di considerare il disabile come una entità ben definita, tipo un sacchetto, in un sacchetto ci sono le patate, in un altro ci sono le mele, le pere, quindi il disabile lo si mette in questo sacchetto e tutti i disabili hanno questa caratteristica. Niente di più falso! I disabili non hanno tutti le stesse caratteristiche! Ed anche per quanto riguarda il problema della sessualità, non tutti hanno lo stesso problema, non tutti pensano di risolverlo allo stesso modo e non tutti sono d’accordo su come affrontare questo problema. Il problema della sessualità è un problema che esiste ed è un problema molto culturale. Qualche tempo fa un mio amico disabile, onorevole, ha lasciato la moglie e si è messo con un’altra, è stato scandalo totale perché un disabile che lascia la moglie! Ma quanti ce ne sono di onorevoli  divorziati? Non fanno scandalo, non fanno casino, non fanno notizia. Però, di quel disabile ne parlarono tutti i giornali.  Le battute che mi  facevano: “Ma il tuo amico…!”. Solo perché è disabile non può avere l’amante, non può lasciare la moglie e andarsene con l’amante? Il disabile è una persona con vizi e virtù come tutti quanti gli altri. Non è che perché uno è disabile è un angioletto. Io vengo dalla provincia di Foggia, a San Severo non molto tempo fa hanno arrestato un disabile sulla sedia a rotelle che spacciava droga. Un disabile spacciava droga! Io sono genitore di un ragazzo disabile e tra noi genitori ne parliamo, specialmente quando i figli incominciano ad arrivare a una certa età. Ognuno di noi cerca di affrontarlo come meglio crede perché c’è differenza tra il disabile motorio e il disabile psichico. Solitamente i problemi che hanno i genitori dei disabili psichici è che arrivati ad un certo punto questi ragazzi incominciano a toccare nelle scuole medie superiori ed a volte con le amichette ci sono dei problemi, però lo fanno così, senza pensarci sopra; mentre i disabili motori vivono una regressione perché si innamorano delle amichette e le amichette, siccome loro sono disabili motori, non si avvicinano. Ma sono persone come tutti quanti gli altri, anche il modo di affrontare il discorso della sessualità del figlio disabile è diverso, io parlo come genitori perché mi confronto con altri genitori. Vito ha parlato diversamente perché lui vive la disabilità in prima persona e io la vivo indirettamente. Vi posso dire che prima di venire qua ne ho parlato per farmi un’idea, con Vito di questo ne abbiamo parlato già altre volte, poi Vito mi provoca pure perché sa del mio essere cattolico e quindi si diverte anche ogni tanto a stuzzicarmi da questo punto di vista. Un genitore mi ha detto senza mezzi termini: “Io tradisco mia moglie, vado con prostitute, qual è il problema? Porto mio figlio con le prostitute. Per me il problema non esiste”. È anche questo un modo di affrontare il problema sessuale del disabile. La Statale 16 è piena. Se ce ne sono tante di extracomunitarie sulla Statale 16 vuol dire che ci sono tanti clienti, ci sono tante persone che vivono la sessualità distaccata dal sentimento. Perché poi c’è anche quest’altro discorso: c’è chi vive la sessualità punto e basta, c’è chi invece dice di no, io voglio vivere la sessualità insieme al sentimento. Anche questo non va trascurato. Io personalmente non sono mai andato a prostitute e non credo che porterò mio figlio disabile da una prostituta, perché per me significa fare violenza, ma è un mio modo di pensare questo, è un discorso culturale, è vero, perché qui fa molto la cultura. Quello che io sogno è che mio figlio si possa innamorare e qualcuno si possa innamorare di mio figlio e che viva concretamente l’essere umano; ci riuscirà o non ci riuscirà non lo so, però è questo a cui un genitore aspira, poi ci si rende conto che nella realtà il 75% non… poi c’è una statistica che dice che è il contrario. Cosa fare? Non esiste una regola per cosa fare, perché per un disabile avere l’assistente sessuale può essere un momento bello per lui, per un altro può essere un momento di violenza. Chi lo sa questo? Chi sa nella mente di quella persona, di quell’essere umano in quel momento che cosa gira? Ognuno di noi pensa che l’altro abbia gli stessi sentimenti, ma noi non sappiamo. Chi giudica ciò che è giusto e ciò che non è giusto per un altro? Io posso decidere per me, ma per mio figlio, anche nonostante la sua disabilità, non potrò mai decidere perché annullerei mio figlio. In macchina con me nel viaggio ne abbiamo parlato di questo io e Dino, un altro genitore di un ragazzo disabile, perché poi ce li facciamo questi problemi. E’ giusto annullare la nostra vita per quella dei nostri figli? Ed  è giusto ciò che facciamo per i nostri figli? Che cosa è giusto e che cosa è ingiusto? Nessuno lo sa! Certo che ognuno di noi vorrebbe che il proprio figlio fosse come se stesso, ma così non è, quindi non è una medicina. A volte far fare a un disabile psichico solo perché noi abbiamo l’istinto e diciamo: “Facciamo soddisfare questo istinto”, non sappiamo se facciamo del bene o facciamo del male. Perché queste domande dobbiamo porcele. Allora, certo stiamo in democrazia, stiamo in piena libertà, ognuno decide. Ma possiamo noi decidere per chi non è in grado di decidere? Cioè, questi sono problemi che bisogna porceli e io come genitore e molti genitori ce li poniamo. Noi vorremmo la ricetta: che cosa fare, da chi andare? È come il sostegno a scuola, vengono le insegnanti di sostegno: “Come mi debbo comportare?”. Io ho fatto due anni e poi ho di fronte un ragazzo che è completamente diverso da quello che mi hanno descritto a scuola. Per forza, perché non esiste il disabile tipo! E allora, non ci può essere una regola valida per tutti. Ogni disabile ha la sua vita, ogni disabile ha la sua storia, ogni disabile vive nella sua famiglia una sua storia, ognuno di noi ha una sua cultura, ha delle sue esperienze ed allora tutto questo va vissuto. Già la stessa interpretazione di Giovanni Paolo Secondo tra di noi è stata vista in maniera diversa, per me è stata vista come un esempio illuminante, perché comunque ha riconosciuto l’aspetto sessuale del disabile ed è importante in questa società che un Papa parla di disabili e sessualità. Una grossa rivoluzione culturale è avvenuta quel giorno quando il Papa ha detto questo ed è importante perché non si scinde la persona; cioè, il disabile è una persona umana uguale agli altri, con tutti i bisogni e tutte le necessità. E allora, ci sono dei disabili che sentono questo bisogno del contatto sessuale con gli altri e questa è una realtà e va affrontata la realtà. Non bisogna fare come gli struzzi e mettere la testa sotto e dire: “Non so come risolvere il problema e allora metto la testa sotto”. Noi non abbiamo la ricetta, però oggi stiamo qui per parlarne – no, Vito? - oggi noi ne parliamo, perché se di un problema non se ne parla, se di una questione non se ne parla, quel problema non esiste e se un problema non esiste non verrà mai affrontato! Sicuramente non si risolverà questo problema né domani, né dopodomani, però se ne parla ed è importante anche come sostegno alle famiglie, è importante fare educazione alle famiglie, nel rispetto delle famiglie, perché per un genitore è frustrante questo aspetto. Si pensa al ragazzo disabile, ma non si pensa alla famiglia, la famiglia questo problema lo vive e a volte anche tra marito e moglie non si ha il coraggio di parlarne, perché sono quegli argomenti che culturalmente purtroppo è così. Sara, mi sono sentito telefonicamente, che scrive sul giornale della Provincia di Foggia, mi ha detto: “Andrea, forse è il caso che incominciamo a scrivere anche sul nostro giornale e incominciamo a creare un dibattito”. Perché no? Parliamone. Sicuramente non ci sarà una medicina, non c’è una soluzione. Non so che altro dire, parliamone e vediamo che cosa ne esce. Intanto ne parliamo. Grazie.

 

Stefano MENSURATI -  Si sta facendo tardi, però diamo la possibilità alle persone che sono rimaste qui finora di rivolgere un paio di domande ai relatori, se vogliono.

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Sig. Antonio BALDASSARRE Mi chiamo Antonio Baldassarre e sono un artista, un disabile al cento per cento, naturalmente provengo da una malattia ereditaria, l’emofilia - non mi nascondo di dirlo - e quindi un artista che nella sua disabilità ha creato un’opera d’arte: la residenza dell’amore. Tabù, tabù per tutti! Voi ne parlate così. Poi si invitano tutte le autorità e non si permettono a venire. Sto creando un’opera grandiosa per il Salento, nei pressi di Cardigliano. Adesso non vorrei farmi pubblicità per quanto riguarda questo, ma la mia opera è erotica, sessuale, cioè un qualcosa che è la vita. In qualità di disabile nonostante tutto non mi sono mai… scusate la mia emozione, ma io non sono oratore, esprimo tutto con l’arte. Naturalmente, vorrei dire che nonostante tutto i complessi di inferiorità ci sono per un disabile, però sono andato avanti così. Come diceva il signore prima, quello di Foggia che quando si tratta di andare a parlare con una ragazza, con una donna, è complicato, diciamo che quando vedono il difetto fisico non c’è niente da fare; anche se magari gli piaci ed io sinceramente piacevo, però poi si mettevano i genitori, questo e quest’altro. Ciò non toglie che la mia forza, anche da disabile, di volontà, ho vissuto la mia vita intensamente, ho fatto l’arte come pittore e scultore, quindi ho fatto questa residenza particolare. Se già proviamo tabù a vedere questa residenza dell’amore che tratta il sesso, tratta tutto quello che concerne, volevo dire che anche con l’arte si può portare avanti questo discorso. Prima di tutto andare a vedere l’arte. Grazie. 

 

Stefano MENSURATI - Passiamo il microfono a qualche altra persona che volesse intervenire, prego. 

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Assessore Cesare CARACUTA - Ringrazio Vito Berti per la opportunità che ci ha dato. Mi chiamo Cesare Caracuta e sono Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Martano. Noi in settembre abbiamo fatto una settimana intera sui disabili e non è venuta nessuna televisione, ma non è un problema. Inviterei me e tutti gli altri politici nelle occasioni di passerella televisiva e per Cuore Amico a non andarci a questo punto, perché se sono insensibili non ci andiamo. Io ci credo a Cuore Amico, domani  telefonerò e dirò: “Perché  questa insensibilità a tutte queste iniziative?”. Siamo nel 2008 e la A.S.L.  finalmente mette su un servizio di assistenza e di consultorio per i disabili e per le famiglie dei disabili e già questo è scandaloso, nel senso che  si è arrivati al 2008 per istituire questo. Credo che la migliore via forse è attuare l’integrazione vera  del disabile, che manca nel lavoro, che manca nella società, farli diventare cittadini attivi e non relegarli negli angoli. Non fare dei luoghi di incontro solo per disabili perché questo costituisce veramente la creazione di lager e la creazione di punti chiusi in cui il disabile non può confrontarsi sulla questione sessuale o altro. Serve una educazione alla affettività vera che parta anche all’interno delle scuole, una educazione alla sessualità, non se ne parla più, si parla solo di sesso, di sesso a pagamento e di quant’altro. Serve abituare sin da piccoli anche le generazioni a che cosa significa veramente amore, altrimenti questo termine diventa solo sesso e basta. Grazie. 

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Stefano MENSURATI Grazie, Assessore Caracuta. Penso che ci possiamo fermare qui, vi tengo ancora un paio di minuti, penso ne valga la pena, per leggervi queste poche righe, un breve brano tratto dal libro “Il vizio di vivere” di Rossana Benzi. Forse ricorderete Rossana Benzi, quella disabile costretta a vivere in un polmone d’acciaio per 29 anni, poi morì a 43 anni nel 1991: “Avevo 24 anni quando conobbi Mario. Il nostro amore fu un frutto che maturò in fretta e su un albero robusto, che fossimo sereni o cupi fummo mescolati e di noi fu dipinto il mondo. Gli chiesi: -Perché non mi dai un bacio?-  e sono sicura che andresti in crisi. Non andò in crisi, imparò ad applicarmi la campana di vetro attorno al collo, a porgermi il boccaglio dell’ossigeno, imparò ad aprire il polmone come doveva fare Germano per spostarmi da una macchina all’altra, seppe accedere al mio corpo senza bisogno di manuali, mi spogliò come un uomo spoglia una donna che ama. Mi spostò e condusse all’amore questo fisico che non può muoversi da solo, ma sa provare perfettamente le emozioni. Desiderai finalmente di essere portata via dalla sua forza, dalla sua voglia, di ascoltare all’orecchio il suo respiro affannato,  di godere del piacere che mi procurava, di sentire il mondo, la vita, i fiori, i campi di grano, i raggi di sole,  le gocce di pioggia, mischiando tutto. Dovevo solo respirare, non perdere il boccaglio e attendere le sensazioni al varco”. Queste parole bellissime credo ci diano una indicazione su tutto. La vera medicina contro la solitudine è la creazione di un legame affettivo autentico che accresce l’autostima e dà la forza per superare tutte le avversità della vita. Però, non tutti hanno questa fortuna, è inutile nascondersi dietro a un dito. Vi leggo un dato statistico per concludere: “L’85,2% degli uomini disabili tra i 15 ed i 44 anni è celibe e il 75,5%  delle donne disabili è nubile”. Ed allora, veramente in questo quadro, pur con tutte le cautele, l’assistenza sessuale ai disabili può essere senz’altro di aiuto, naturalmente senza generalizzare. Credo di poter dire in conclusione che qui a Galatina questa sera abbiamo gettato un seme, chissà che magari tra qualche tempo non sbocci davvero un fiore. Grazie di cuore a tutti quanti. 

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